
Entrando il venerdì mattina nella stanza delle prove di
Eukolia, potevi trovarlo già seduto al suo posto, il tamburo sulle ginocchia,
pronto a fare la sua parte. E se passandogli accanto gli tendevi una mano, lui
ricambiava con una stretta delicata e ferma, silenzioso e tuttavia parlante,
con quegli occhi scuri e un sorriso zen stampato sul volto.
Il suo regalo al gruppo era un battere sonoro dal metro
preciso.
Ma soprattutto una presenza umile e pacifica, propria dei grandi spiriti. Di
quelli che normalmente ci passano accanto – come angeli, si diceva all’atto del
commiato – e della cui grandezza in umanità non ci accorgiamo mai abbastanza;
fino a che il vuoto che lasciano, commisurato alla vastità del loro cuore e alla
profondità della loro visione, non ci restituisce l’effettiva statura della
loro persona.
Dalla cattedra di apparenti fragilità, le grandi anime vengono
ad abitare tra di noi per aprirci la strada alla consapevolezza, segnali di
svolta verso un’esistenza più essenziale. In silenzio ci richiamano alla
sostanzialità del vivere, distogliendoci dall’ingannevole rincorsa alle mille e
mille cose che tirannicamente reclama la totalità delle energie e occupa l’intero
orizzonte del tempo.
Maestri in umanità, laddove tutti corrono, essi rallentano. Dove
tutti s’affannano, respirano. Dove il mondo intero sgomita ed urla, tacciono.
Vorremmo trattenerli oltre, ma essi ci donano un compimento.
Ci regalano una distanza che è presenza.
Il loro nascondimento terreno ha dato il suo frutto di pace, e germoglia, ancora
e ancora, seme imperituro, dal grembo della terra che li accoglie.
Addio Luca, amabile tamburino silente. È un onore averti
incontrato.
Grazie per essere stato dei nostri: il tuo tamburo ci mancherà.
È di quelli come te, della meravigliosa soavità delle vite come la tua, che
Livia Candiani scrive, o così mi piace pensare:
Hanno spalle
leggere ed eleganti
come dopo la prima nevicata
i portatori di pace
entrando seminano
a piccoli gesti celati
fiocchi di silenzio.
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