lunedì 24 settembre 2012

La fagiana e la coscienza del mondo

Sulla via degli ipermercati, manco a dirlo trafficatissima anche se secondaria, d’un tratto la colonna di scatole di latta rallenta in entrambi i sensi di marcia. A terra, nel bel mezzo della carreggiata, qualche cosa si muove. I veicoli indugiano, dai finestrini abbassati occhi muti si affacciano per poi passare oltre. Che cos’è? Sembra un sacchetto di carta scosso dal vento, del medesimo colore di quello che il panettiere ti dava per portare a casa le michette, quando ancora il pane lo compravi sotto casa e non ti costringevano a bruciare petrolio per andarlo a prendere chilometri più in là.
Avvicinandomi vedo che non si tratta di carta. È un fagiano, una femmina color nocciola, agonizzante sulla pubblica via. Forse colpita da un paraurti distratto, forse dalla doppietta di qualche imbecille in mimetica, ha il corpo per buona parte inchiodato all’asfalto. Soltanto il lungo collo è ancora mobile, flessuoso come una vela, e mentre le passo accanto, la fagiana lo solleva e mi guarda. Ha occhi parlanti, starei per dire “umani”,  se non fosse che è proprio a causa dei bipedi “umani” che ora quegli occhi si ritrovano a terra su una carreggiata. Occhi che pongono una domanda cui non so rispondere. È la medesima domanda di sempre, quella posta, in tutti i tempi e a tutte le latitudini, da ogni essere che cerchi una risposta al dolore innocente e si faccia voce della coscienza stessa del mondo.
Anch’io me ne vado, lasciando lì a morire una volta ancora quella coscienza, fuori dalla quale non resta altro che un mondo finto quanto feroce.
Fatto di terre divorate dalla cementificazione bipartisan, strangolate dagli scarichi notturni nell’aria e dall’immondizia buttata nei fossi. Ammorbato dalle luci fatue degli centri commerciali e dallo sferragliare senza posa delle intontite comitive che vi si recano in quotidiano pellegrinaggio.
Via da quegli occhi è un mondo asfittico, disperato, perennemente in fuga dalle proprie radici. Altrimenti non si spiega l’anacronistica pretesa di praticare la caccia in un territorio che di tutto avrebbe bisogno, tranne che di dichiarare guerra agli uccelli.

***

Nessun commento: