venerdì 17 dicembre 2010

C'è un presepe a Christmas Island



È di qualche giorno fa la notizia di un barcone finito sugli scogli dell’isola australiana di Christmas Island, carico all’inverosimile di uomini, donne e bambini provenienti presumibilmente da Afghanistan o Iraq. L’isola infatti si trova a soli trecento chilometri dalle coste indonesiane, quanto basta a indurre schiere di disperati a tentare di prendere il largo da guerre e miseria.

È sempre la medesima tristissima storia di gente costretta a salpare per forza, quella raccontata dalle immagini terrificanti mandate da un tg nazionale. Testimoni parlano dell’ennesima carretta del mare che si avvicina barcollando alla costa dell’Isola di Natale (e mai nome fu più beffardo!), mentre l’oceano in tempesta non si cura nemmeno della presenza a bordo di bambini stremati dal mal di mare.

Provo a immaginare le grida e il terrore nei loro occhi. Provo a sentire l’angoscia pietrificante nel cuore dei padri che li hanno condotti sin lì. Provo a mettermi al posto di quelle madri alle quali si aggrappano mani e speranze. Provo infine a vedere su quella barca mio figlio stesso, pochi istanti prima che il legname si sfasci contro la falesia. Lo vedo cadere in acqua, tento di afferrarlo ma un’onda più alta lo manda a sbattere contro la roccia per poi nasconderlo ai miei occhi.

Provo, sì. Perché soltanto in questo modo posso incominciare a sostare meno distrattamente accanto a un tale dolore, sballottato di notizia in notizia nel mare agitato della cosiddetta informazione. Voglio stare nei panni di quella povera gente, che ha sogni e bisogni del tutto eguali ai miei, a me del tutto simile se non per quel coraggio enorme che soltanto la fame e le troppe lacrime versate sanno dare ad un uomo.

C’è un presepe a Christmas Island, un presepe di bambini costretti a partire, per i quali ancora una volta un posto non s’è voluto trovare nell’ostello del mondo. Bambini ancora più poveri di quel loro illustre coetaneo betlemita, perché a cullarne i sogni nella notte stellata non si odono nenie quiete di madri, ma l’urlo furioso del mare. E per le membra intirizzite non il conforto del respiro di animali bonari ed amici, ma il fiato ostile e gelido degli elementi che sembrano voler calamitare su quella misera scialuppa ogni genere di sventura.

C’è un presepe a Christmas Island, un presepe estremo, piazzato sulle acque scure di un cimitero marino, l’ennesimo fra tutti quelli disseminati per il globo terracqueo. Senza stelle comete a indicare la strada di una qualche via d’uscita, né i cieli aperti degli angeli venuti a decantare la gloria di un Dio che da qui tutto pare fuorché onnipotente.

Ma poi che cosa c’entra Dio? Non è piuttosto l’ingiustizia procurata dagli uomini a tramutare in campo di morte ciò che in origine era giardino? Non il vortice di egoismi personali e collettivi, che così saldamente hanno ovunque attecchito, a determinare l’impoverimento sempre più grande di masse intere di suoi figli? Dov’era Dio, dunque? Sempre la stessa domanda risuona allorché uomini e donne si ritrovano inermi di fronte al male che pure, in un modo o nell’altro, hanno contribuito a determinare, in pensieri, opere, omissioni.
Dov’è Dio? Mentre infuria la tempesta forse dorme, placidamente adagiato sul cuscino di poppa.

Di sicuro, se un Dio c’è, se ne sta su quella barca, al centro del presepio tremendo.
Colui che è “potente solo d’amare” e dalla cui mano nulla sfugge di quanto sia stato chiamato all’esistenza, è certamente lì, ancora una volta votato a perire con ciò che perisce. E a indicare a tutti, specialmente ai più piccoli e agli umili, dalle latitudini di questa Isola di Natale, i nuovi cieli e la terra nuova. Quella finalmente abitata dalla giustizia, presso cui dimorare.

***

1 commento:

walter ha detto...

Hai ragione:
Dov'è Dio?
Così ci si lava le mani e si passa ad altro.
Dove siamo noi?
Questo è più impegnativo anche se la risposta è semplice:
Siamo troppo impegnati nelle omissioni di parole ed opere per un bene comune.
E' strano perchè per un esame di coscienza basta davvero poco tempo.
Voglio dire che ci vuole poco a capire che siamo anche noi colpevoli ma quello che non riusciamo a sopportare è che poi ce vuole moltissimo di tempo per trovare delle scuse per autogiustificarci e si sà siamo sempre di fretta.
ciao Giorgio e buon Natale
Walter R.