domenica 6 dicembre 2009

Canzone del cielo ferito


















Alle tre della notte di lunedì 6 dicembre 1999, una manciata di tramonti all’alba del nuovo secolo, moriva a sessantaquattro anni mia mamma Antonia, che per essere di origini contadine aveva un nome quasi regale, che per intero suonava: Maria Antonia Noemi Fumagalli.
Nonostante la malattia prolungata, nessuno di noi sembrava attendere veramente quel momento. La morte, anche a cent’anni, arriva sempre troppo presto per tutto ciò che resterebbe da fare, per le parole che restano da dire.

Di solito non vado in cerca di segni premonitori, ma il pomeriggio precedente, girovagando in macchina insieme a Monica, un tramonto di fuoco calato in un azzurro inusitatamente limpido per questo angolo di Lombardia, ritagliato fra la piana e i monti del lecchese, ce lo aveva suggerito con una forza più incisiva: il cielo ferito da quel rosso abbacinante poteva sì essere l’ultimo. Quello era il portale di ingresso ad un abbraccio capace di un’accoglienza più calda, tanto consolante quanto invisibile ai nostri occhi. Oltre l’incendio del vespero, insieme agli affettuosi legami, finalmente iniziavano a sciogliersi i lacci del morbo, le ferite guarivano, il cuore e le membra tornavano libere di correre gioiosamente e persino di volare.

All’ora di cena la trovai assopita nel letto. Svegliata dal mio richiamo insistito, vedendomi, soltanto sorrise. “Dormi?” – chiesi. Annuì, con un impercettibile accento del sorriso, quasi a volersi scusare di quel sonno fuori orario. “Dormi, dormi pure …”. È l’ultima sua immagine, bella quanto dolorosa.
In quella notte di vigilia tornammo infinite volte ad accarezzarne il volto, a baciarlo, a suggerire all’orecchio segreti inespressi, accompagnandola con parole di pace. A ringraziarla per quel po’ di umanità che avevamo appreso, nonostante la personale inadeguatezza di ciascuno: la compassione per i piccoli, gli occhi per la fatica degli altri, li dovevamo a lei.

Visitando la sua tomba, qualche settimana più tardi, mi raggiunse una di quelle “contaminazioni melodiche” che di tanto in tanto arrivano chissà da dove, entrano in testa e non ti lasciano prima che se ne cavi qualche cosa. Così è nata la “Canzone del cielo ferito”.
Per ora eccone il testo. Ai miei sette lettori vorrei dire però di tornare a visitare questa pagina: nei prossimi giorni proverò a inserirvi il brano musicale, così che, se vorranno, lo possano ascoltare.



Canzone del cielo ferito


Io l’ho sentito questo cielo terso
spalancato come una ferita
per scrutarlo mi ci sono perso
dei miei occhi non so più l’uscita
Ora resta qui un tempo gemente
un’attesa di radici ed ombra
questo tempo disperato urlante
e nessuno mai che gli risponda.

Un po’ curvo sotto l’occidente
lui si attarda dietro il suo dolore
e il dolore si fa più struggente
se per dirlo non sai le parole
Così lascia ch’io lo canti piano
del tuo nome faccia melodia
e tu dimmi che sei qui vicino
dillo anche fosse una bugia.

Adesso i baci dati sono torba
le carezze di frumento e miglio
dal tuo grembo che mi diede forma
ad ogni nuovo giorno spunta un giglio.
È per questo che ti rassomiglio:
delle cose conosco il lamento
il bisogno largo di un abbraccio
come un livido mi porto dentro.


Sabato 12 Febbraio 2000 –
14.45


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Ho tentato di caricare direttamente sul blog il brano in questione, per ora con scarsi risultati. Ma non demordo.

Per il momento lo potete ascoltare qui.


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