domenica 5 settembre 2010

Grazie, Romeo, prete silente













Dalla nostra comunità parte il prete, uno degli ultimi persino per la grande arcidiocesi ambrosiana, e in queste ore è un viavai di gente che arriva in canonica per salutarlo. I volti parlano da soli, non c’è bisogno di dire molto. Gli occhi, soprattutto gli occhi parlano e dicono quel che sa il cuore.

Non amo affatto i congedi, però mi rendo conto che il commiato getta sempre una luce nuova sull’altro, più genuina e vera rispetto ai mutevoli bagliori della quotidianità. E svela persino i nostri sentimenti profondi verso di lui, quelli che per educazione ed eccesso di riserbo, ciascuno aveva accuratamente celato in qualche anfratto dell’animo. Non che la separazione aggiunga nulla alle relazioni fra le persone, semplicemente le illumina più dolcemente, mitigando le asprezze dei chiaroscuri e rendendo visibile ciò che magari era semplicemente velato per questione di diottrie.

Forse per questo i maestri zen insegnano una pratica pensata per appianare i dissidi: si tratta di visualizzare qualcuno come se stesse per lasciarci per sempre. Funziona nei confronti della moglie, del marito, di un genitore, di un fratello. Funziona davvero, se per un momento siamo disposti ad essere sinceri con noi stessi e disponibili ad un cambiamento interiore. Allora la compassione cresce e riusciamo a percepire come una persona, al di là dell’immagine che ci siamo fatti di lei, sia sempre un grande dono e che il dono consista essenzialmente nella sua umanità, nel suo camminarci vicino con tutti i suoi limiti e le sue fatiche. E che, anzi, proprio quei limiti e quelle fatiche ci sono col tempo divenuti familiari e cari. E che il mondo sarebbe incomparabilmente più vuoto senza di lei. E che i motivi per cui dirle grazie di gran lunga sopravanzano quelli per i quali protrarre la insana litania della recriminazione. Non è mai troppo tardi per accorgersene, afferma saggiamente lo zen.

Don Romeo probabilmente passerà alle cronache mezzaghesi come il parroco più silenzioso che si sia mai visto da secoli a questa parte. Più che per le parole dette, comunque preziose, lo ricorderemo per il silenzio connaturale che sempre le accompagna. Egli stesso è essenzialmente una proposta di silenzio. Molto ne occorre attorno quando parla, sennò c’è il rischio di perdere qualche snodo essenziale del discorso. Quando sorride, poi, lo fa sottovoce. Anche quando piange credo che sia così. Persino per salutare quelli che incontra per strada usa il silenzio: tante volte qualcuno se ne lagna, perché vorrebbe sentir più chiaro e distinto, ma a ben guardare è solo questione d’affinare l’orecchio, come nella musica, o nella poesia.

Mi chiedevo in questi giorni che cosa vuol dire che una comunità cristiana sia guidata per dodici anni da un uomo tanto mite e silente. Perchè ancor prima che con le parole, persino ancora più che con le parole dei testi sacri, Dio seguita a parlare attraverso le persone e il loro modo di essere presenti. Il dono di Dio è sempre una persona in carne ed ossa. Una persona che arriva, che ci accompagna per un tratto e a un certo momento ci lascia. Ciascuno di noi è questo per l’altro, come l’angelo che andò a rifocillare il profeta Elia che, stanco ed affranto, desiderava morire sotto il ginepro.

È dunque il tempo di raccogliere i frutti di una silenziosa quanto tenace testimonianza di fede e di carità. Essa indica una direzione, uno stile che ci è richiesto. Come a dire: avete avuto dodici anni (un tempo biblico!) per imparare, adesso fate buon uso dell’insegnamento. In un mondo che urla di tutto e su ogni cosa dalla mattina alla sera, ritrovare il gusto di comunicare, relazionarci, semplicemente stare in silenzio.

Per la mansuetudine che gli fa da veste, don Romeo avrà in eredità la terra. Così assicura il vangelo delle beatitudini. Per il suo silenzio, invece, quale sarà la ricompensa? Un anticipo potranno forse essere questi occhi, raccolti a grappoli sotto i tigli del sagrato, riconoscenti e accorati nella dolcezza di un mattino di fine estate. Qualche lacrima lava via ciò che forse ancora impediva di vedere chiaro: quel che resta, nella più tenue luce settembrina, sono i tratti fraterni di un uomo semplice e pacifico, da benedire e ringraziare di cuore.

***

1 commento:

Anonimo ha detto...

Si Giorgio; sono d'accordo con te.Stamane sono stata in oratorio a portare Nadia per il "ferialino"...mi ha preso un groppo alla gola. Mi mancava quella persona dal passo morbido, col sorriso fisso che ti si avvicinava e che senza dire nulla ti passava accanto fino a farti dire a te la prima parola...

Rosa