lunedì 13 settembre 2010

13 settembre 1958




















La sposa ora sorride davvero, la posa più distesa dopo quelle un po’ rigide della chiesa. S’è finalmente sbarazzata del velo, affidato alle mani solerti di un’amica o abbandonato alla spalliera di una sedia da qualche parte nella sala del ricevimento, un centinaio di posti a sedere previsti nel circolo ACLI, a venti metri dalla parrocchiale.
Parenti e amici sono convenuti per lo più a piedi o a bordo di ciclomotori, mentre solo qualcuno ha potuto noleggiare un’automobile, scoraggiando così per tempo ulteriori ipotesi di spostamento durante la giornata. E perché poi spostarsi? Lo sanno tutti che al circolino la cucina è buona e l’aria quella di casa. Passare dunque dal sacro al profano transitando per il sabato assolato è questione di passi, trenta o quaranta in tutto, un tragitto accompagnato dallo scoppiettare di risa festose, sotto una gragnuola di riso che ti arriva negli occhi a folate improvvise.
La Fiat Appia scura, con un bouquet di rose bianche sotto il lunotto posteriore, aspetterà. È per la giovane sposa, che stasera dormirà altrove, via dal paese che l’ha vista nascere. Se ne va a far fiorire i suoi ventitre anni poco lontano da qui, una quindicina di minuti in bicicletta o poco più, eppure il cuore le batte un po' più forte al pensiero di lasciare quelle strade così familiari, insieme ai volti che adesso le sorridono come mai prima d’ora, mentre il suono dell’organo infila il portone dietro al corteo nuziale e si sparge sul sagrato, e le campane ricordano, a chi non è nella lista degli invitati, che è tempo di tornarsene a casa e mettere qualche cosa sul fuoco.
Soltanto qualche chilometro più in là se ne andrà stasera la sposa novella, ma è un salto enorme per quelli che, come lei, vorrebbero nella vita piantare alberi piuttosto che strappare radici. E come gli alberi sapere non come o quando moriranno ma dove.

Nella magrezza dei ventisei anni, lo sposo sorride più forte del fiore che porta all’occhiello. Di fianco alla ragazza che nel tempo gli ha smussato gli spigoli di un’indole veemente, le porge il braccio, non so bene se per offrire sostegno o chiederne in cambio. O semplicemente tentare i primi fiduciosi passi di una danza dell’abbandono alla felicità dell’altro – unico antidoto ai dolori del mondo – come suggerirebbe la gamba destra di lui che quasi del tutto scompare nella vaporosità madreperlata dell’organza.

Ammiro l’istante della letizia levigata di due giovani, i cui anni di allora, sommati fra loro, fanno esattamente i miei di oggi. E nell’incanto di un momento che visto da qui pare fuori dal tempo, ne contemplo l’inconsapevole coraggio di immergersi nel flusso delle cose. Dal loro ardire di credere alla felicità, nonostante tutto ciò che la vita aveva e avrebbe riservato, altre felicità son nate e altre ancora attendono forse di venire alla luce.
Così prendo in mano la memoria cartacea di un tale gaudio, soltanto un po’ sgualcita dal tempo, e la metto con cura sotto lo scanner fotografico. Imposto i valori di acquisizione e subito un fascio di luce trapassa la carta, rivitalizzando le antiche sembianze.
Ora sul monitor ripulisco pian piano il bel viso di mio padre, lo sguardo sereno di mia madre. Il restauro richiede certosina pazienza, ma io non ho fretta. È il mio modo per restare in loro compagnia e rendere grazie.

***

3 commenti:

walter ha detto...

Emozionante.Veramente bello.

Anonimo ha detto...

mi hai commosso. che bello leggere il tuo affetto, vivo più che mai, per i tuoi genitori. elisa

Paola ha detto...

emozionata e commossa anch'io...ti lascio(e lascio a loro)qualche verso,tratto da quel che fu la più bella bomboniera mai ricevuta:
"...e tra tanti azzurri celesti, sommersi,
si perdono i nostri occhi indovinando appena
i poteri dell'aria, le chiavi sottomarine." Neruda
pao