venerdì 23 luglio 2010

Quando i laici s'incazzano



I laici nella chiesa hanno sempre contatto come il due di picche. Con la scusa di una malintesa obbedienza sono stati quasi sempre ridotti a quello che gli inglesi chiamano "pray and pay" ossia "prega e paga". Ma il vento sta cambiando, persino in Italia.
In una parrocchia di Cagliari il vescovo Giuseppe Mani vuole trasferire il parroco. La gente non è d'accordo e chiede di potergli parlare comunitariamente. Lui fa il prezioso, negandosi e esigendo che ci si incontri tra le mura della chiesa o privatamente presso l'arcivescovado. Poi dal pulpito propone il solito polpettone di retorica sull'obbedienza, arroganza e aria fritta. Ad un certo punto la gente inizia a contestarlo apertamente. Forse i toni possono risultare sgradevoli, sicuramente non più di quelli dell'altezzoso arcivescovo. Allora il presule tenta la più classica delle scappatoie: un bel segno di croce, un'avemaria orapronobis e tutti a nanna, che tanto decide lui, anzi ha già deciso.

Lascio ai miei cinque lettori farsi una personale idea sull'accaduto. Quel che mi sento di dire è che una certa idea di Chiesa ormai non può più reggere, una chiesa strutturata militarmente con il comandante in capo, generali e colonnelli a controllo dei territori, sottoposti e laica manovalanza che nulla deve fare se non osservare gli ordini superiori. E che quando si parla di corresponsabilità del laicato, ebbene, questa cosa dovrà pur avere un contenuto concreto e non essere come sabbia buttata negli occhi del popolo di Dio, tanto per confonderlo e tenerlo buono, come ai bei tempi. Un popolo eternamente bambino, incapace di esprimere un'opinione e di chiedere che venga considerata e magari rispettata. Così non funziona più. Il vento s'è appena alzato.

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