venerdì 18 settembre 2009

Servette




















Il mio blog registra inopinatamente un seguito piuttosto assiduo di signorine attempate che mi tirano le orecchie per ogni parolaccia, come fa la catechista col chierichetto. Non amo molto la parlata accesa, ma neppure la disprezzo, se aiuta ad esprimere meglio i concetti. Così alle orecchie puritane di qualche perpetua pare blasfemo il disquisire ornitologico dell’ultimo mio post, soprattutto laddove si fa velato (anzi esplicito) riferimento ai passeriformi umani.
È la solita miopia mai curata di chi si sofferma a guardare il bordo del piatto piuttosto di assaggiare quello che c’è dentro. Se la caccia nell'era degli ominidi era vitale, oggi è un’attività ignobile. I tempi sono cambiati e per mangiare carne andiamo a far la spesa al supermercato. L’unica cosa rimasta uguale rispetto alla preistoria è la massa cerebrale del cacciatore medio. Da qui l’uso necessario del turpiloquio in quanto forma regressiva del linguaggio.
La caccia fa ribrezzo a ogni mente pensante. Di essa piuttosto dovremmo scandalizzarci. Ma qui tutti tacciono, chierichetti e curati, serve e servette. I colpi di doppietta la domenica mattina non turberanno neanche domani i loro beatifici sonni. Interrotti solo da stimoli particolarmente intensi e pruriginosi, come qualcuno che utilizzi la parola “uccello” in senso metaforico e “coglione” in senso proprio.
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