venerdì 12 giugno 2009

Neppure l'elemosina

Propongo ampi stralci di un recente intervento di Raniero La Valle. Se la gratuità forse non è un'alternativa immediatamente realizzabile, si può almeno iniziare col pretendere che alcuni beni comuni non siano mercificati.
***
Sempre più poveri busseranno alla tua porta

di Raniero La Valle


Non solo sempre più poveri busseranno alla tua porta, ma a sempre più poveri sarà impedito perfino di arrivare alla tua porta, di bussare, di chiedere asilo politico. I poveri sono fatti morire in mare, purché non arrivino sulle coste smeralde dell’Europa, non sbarchino, non si disperdano tra tutti i Paesi e le città europee, non si integrino con gli altri poveri e con i molti ricchi. Il ministro Maroni li fa intercettare nel Mediterraneo, le navi della Marina militare fanno finta di salvarli, loro vengono da giorni di navigazione e di paura, non hanno con sé nemmeno le valige di cartone con cui i nostri emigranti andavano in America o in Australia, hanno solo quello che hanno indosso, cioè niente, sono esseri umani spauriti e in fuga, donne incinte, bambini; ma le navi che dovrebbero salvarli li rigettano negli inferni da cui sono venuti, “ordine infame” è definito dagli stessi marinai quello che devono eseguire. Il ministro si gloria, la Lega aumenta i suoi voti al Nord, il decreto sicurezza toglie agli stranieri senza permesso ogni diritto umano, non possono nemmeno nascere, se non apolidi e clandestini, non possono farsi curare e partorire in ospedale, dalla scuola vengono respinti (si fa eccezione per i bambini, perché almeno questo è impopolare) non possono affittare una casa; talvolta, in qualche città del Nord, non possono nemmeno sedersi sulle panchine (si fa eccezione per gli ultrasettantenni, perché vietarlo anche ai vecchi sarebbe impopolare). L’Europa, con il trattato di Dublino e le direttive comunitarie, dice che ogni Paese in cui gli emigranti sbarcano – cioè quelli sul mare, Italia, Grecia, Cipro, Malta – se la deve cavare da solo, gli altri non c’entrano; né c’è modo per i migranti di entrare direttamente negli altri Paesi europei, perché ai vettori è proibito imbarcarli sulle navi e sugli aerei, se non hanno il visto d’ingresso dei Paesi di destinazione. L’Europa non è più una città aperta sul mare, è una fortezza sigillata; così ci illudiamo di salvare quel poco che abbiamo delle nostre sicurezze e del nostro benessere. E non ci sono solo i migranti; secondo la competente agenzia delle Nazioni Unite i profughi nel mondo nel 2007 erano 37,4 milioni; nel 2050 si potrebbe arrivare a 200 milioni di esuli. A quali porte potranno bussare?

Dunque c’è anche proibito di dare il dono della nostra accoglienza e della nostra ospitalità. Se lo facciamo, commettiamo un reato, ti possono prendere la casa. Inutilmente dice il Siracide che l’elemosina espia i peccati, come l’acqua spegne un fuoco acceso. L’elemosina non basta, e nemmeno è permessa.
...
L’universale pervasività del Mercato è un fenomeno tuttavia relativamente recente, non sempre esso ha invaso tutta la realtà e tutta la vita. Il mercato stava in una parte del villaggio, della città; si andava al mercato. Uno nasceva fuori del mercato, viveva, acquisiva talenti, coltivava il suo campo, lavorava e prendeva un salario e poi, con quello che aveva, andava al mercato a scambiarlo con altre cose di cui aveva bisogno e che altri vi avevano portato. Le risorse si formavano fuori del mercato e si scambiavano nel mercato. E nel mercato si scambiavano le merci, ma si incontravano le persone, si incrociavano le parole, si manifestavano sentimenti. Ancora oggi quello che resta delle vecchie campagne elettorali persona a persona, si fa nei mercati. Le donne avevano una grande parte nel mercato. Si potrebbe dire che nella maggior parte delle società il mercato era soprattutto femminile. Marianella, la giovane donna martire dei diritti umani, con mons. Romero, nel Salvador, aveva cominciato la sua rivoluzione per i diritti, contro le oligarchie e i poteri dittatoriali del suo Paese, “coscientizzando” e organizzando le donne dei mercati.

Ora invece succede che il mercato è tutto, e fuori del mercato non c’è nulla, e le persone non ci sono più. Di conseguenza tutto è merce. Il denaro stesso, che serviva a scambiare le merci, è diventato una merce, la merce superiore a tutte le altre merci, con cui si guadagna di più. Perciò si è smesso di investire nella produzione, e si sono investiti tutti i denari nel denaro e in quelle volatili tracce elettroniche che sui computer rappresentano il denaro. Così è venuta la bolla speculativa, così l’economia ha preso le distanze dalle cose, dalla vita reale; e anche da quelle cose che ingiustamente erano considerate merci, a cominciare dal lavoro. Ridotto il lavoro a merce, e la merce a denaro, il Mercato si è mangiato tutto, e ora che il Mercato è entrato in crisi, trascina tutto con sé nella crisi.
La gratuità è un’alternativa?

...
Ma allora si può ricominciare sottraendo intanto all’appropriazione beni che non sono ancora appropriati, o che sono stati appropriati ingiustamente. Si può cominciare con lo stabilire che ci sono dei beni che non possono essere spartiti. E non perché sono beni di nessuno (“res nullius”, che era il pretesto con cui i conquistatori spagnoli si presero tutti i beni degli Indiani americani appena “scoperti”), ma perché sono beni di tutti, sono beni “comuni”. Si tratta infatti di beni che appartengono all’intera umanità, e non a una sola generazione umana, ma al succedersi delle generazioni, ai padri ed ai figli; e sono beni che servono all’utilità comune; questi beni sono la terra, l’aria, il clima, l’acqua, le foreste, i fondi marini, i corpi celesti, le orbite spaziali e i satelliti che ci si possono mettere sopra, le bande elettromagnetiche, le frequenze radiotelevisive (quelle regalate, col potere, da Craxi a Berlusconi); e se poi passiamo dai beni materiali ai beni immateriali, beni comuni sono il diritto, e perciò i diritti fondamentali (che non si possono dare e togliere agli stranieri a piacere), il patrimonio spirituale dell’umanità, le lingue, le culture, le religioni, fino al bene più comune e più universale di tutti che è Dio stesso, che da nessuno può essere sequestrato, appropriato, tenuto come un possesso esclusivo, reso “sacro” e perciò separato e messo da parte per alcuni, nemmeno da alcuna religione e da alcuna Chiesa (è stata questa la grande scoperta e la grande proclamazione del Concilio).

Quando i beni comuni vengono rapinati, appropriati, rivendicati come esclusivamente propri, si rompe la convivenza umana, e la vita diventa impossibile. E’ la storia raccontata da Ieramac, la donna di Chico Mendes, l’eroe che in Brasile aveva difeso dai latifondisti la foresta amazzonica, la vita dei seringeuiros (i raccoglitori di caucciù), il fiume. Per dodici volte avevano tentato di ammazzarlo, la tredicesima ci riuscirono. Dopo di allora, dice la sua compagna, “il potere dei forti si è indurito ancora di più. Ora viene da lontano. Ha nomi stranieri, potenti in ogni parte del mondo. Le imprese transnazionali sono penetrate nell’Acre brasiliano con la forza e l’arroganza che nemmeno il più incallito latifondista aveva mai osato esibire. Questi mostri finanziari uccidono la foresta per una brama di profitto, la trivellano per succhiare petrolio, aprono squarci enormi tra gli alberi, mettono in subbuglio l’ecosistema, ammalano i contadini. E mettono mano sul Rio, sul fiume sacro per tutti noi che lo abitiamo. L’ultima frontiera è l’accaparramento dell’acqua. Vogliono rubarci l’acqua, impossessarsi delle sorgenti, imporci la tassa per bere”. E dice a sua volta dona Flor, la protagonista del libro di Jorge Amado, che vive a San Salvador in un barrio costruito sulle palafitte: “Viviamo immersi nell’acqua, ma non abbiamo acqua da bere”. Come scriveva Taylor Coleridge: “Acqua, acqua ovunque. E non una goccia da bere”. E’ lo stesso lamento che fanno i palestinesi: gli israeliani si prendono l’acqua del Giordano, prima che arrivi nei territori palestinesi. Così ai palestinesi è negata l’acqua dolce del lago di Tiberiade, e resta solo l’acqua amara del Mar Morto.

Nei beni comuni, riconosciuti come comuni, senza discriminazione tra ricchi e poveri, senza ragioni di scambio, extra commercium, fuori del Mercato, c’è allora forse il principio e il punto di partenza di una nuova economia.
È a queste profondità, e con queste implicazioni politiche, economiche, religiose e antropologiche, che si pone la questione della gratuità.


(Qui trovate l'articolo per intero).

Nessun commento: