mercoledì 5 novembre 2008

L'audacia della speranza


















Barack Obama, classe di ferro 1961, è il nuovo Presidente degli Stati Uniti. La maggioranza assoluta degli americani gioisce e spera insieme al resto del mondo. Che il neoeletto sia forte abbastanza per rendere conto delle proprie scelte soltanto alla gente e non alle lobbies che per otto anni hanno governato il Paese mandando avanti un pupazzo come George Bush jr.
Che junior, cioè minore (o minorato) rimane e rimarrà in tutto e per tutto. Persino Canale 5, stamane, nel dare la notizia della rituale telefonata del presidente uscente al neoeletto, ha inquadrato Giorgino mentre inciampa nel guinzaglio del cane scendendo la scaletta dell’elicottero. Altro che grande statista, altro che "uno dei più grandi presidenti degli Stati-Uniti-d’America" come ha ridicolmente scandito dal microfono l’ahinoi miope Berlusconi, nella farsa di commiato messa in scena qualche settimana fa nel giardino buono della White House.
Ma come si fa a sostenere una porcata del genere davanti a tutto il mondo senza arrossire? Un capo di stato che ha invaso un paese sovrano sulle basi di una menzogna ufficialmente smentita, come si fa a chiamarlo "grande"? Un uomo che ha portato il lutto in chissà quante famiglie irakene, assassinato bambini, mamme, padri, nonni, fratelli, amici sotto i suoi bombardamenti "intelligenti": costui sarebbe il grand’uomo? Un po’ di pudore, per favore. Speriamo solo che Obama la faccia finita da subito con questi teatrini da quattro soldi, e ai capi di governo stranieri che vengono a vendere fumo non voglia dare credito.
È a questa finta politica fondata sulla menzogna e sulla violenza che il nuovo Presidente dovrà dare un taglio. E non sarà cosa semplice, considerando gli interessi economici enormi che sottostanno alle scelte disastrose di Bush in questi lunghissimi otto anni bui.
Ma cambiare è possibile e doveroso. Cambiare tenendo in primo piano una volta tanto gli ultimi della fila, combattendo le regole del gioco che sino a oggi li hanno schiavizzati ad un sistema fondato sul privilegio smodato di pochi. Un sistema che, per altro, sta implodendo a motivo della sua stessa insaziabile voracità.
Cambiare per provare a improntare sul rispetto i rapporti fra i popoli. Avere il coraggio di mettere in atto scelte che vadano nella direzione della riconciliazione e non in quella che conduce al vicolo cieco dell’acuizione delle tensioni. Dare fiducia al senso di umanità, al riconoscimento che, quella dell'altro, è la comune umanità che ci lega. Guardare oltre le barriere e cogliere il comune desiderio di giustizia dei singoli e dei popoli e compiere gesti e scelte conseguenti a questa visione. Contemplare l’unità del genere umano, uno nel fondamentale desiderio di felicità, pur nella varietà delle sue forme espressive, culturali, religiose.
Per dirla con Isaia, non ricordare più le cose passate, non rimuginare più quelle antiche: provare invece a fare una cosa nuova che germogli sotto gli occhi di tutti, una cosa bella, necessaria, profondamente umana. Avere sì il coraggio estremo di una cosa veramente nuova.
Ad esempio rinunciare a un caccia-bombardiere per debellare definitivamente la lebbra dalla faccia della terra: da mezzo secolo lo chiede Raoul Follereau, l’apostolo dei lebbrosi. O smantellare una portaerei per sanare la situazione di un campo profughi: ci sarebbe solo l’imbarazzo della scelta. O in tempo di crisi economica, tagliare sulle spese militari che nessuno mai tocca se non per rialzarle, piuttosto che sulla scuola e sulla sanità. O impegnare cervelli e risorse sinora asserviti al raggiungimento di sempre nuovi e più micidiali strumenti di distruzione, per ottenere invece tecnologie capaci di irrigare i deserti e renderli fertili, utilizzando gli oceani come fonti d'acqua, così che l’uomo e i suoi cuccioli abbiano di che vivere là dove si trovano e non siano obbligati ad abbandonare le proprie terre. Non ci sarebbero limiti alla creatività del bene, del buono e del giusto: perchè non darle una chance, senza buttarla subito nel sarcasmo? Perché non dare credito per una volta a questa "audacia della speranza", per dirla con le parole dello stesso Obama? Almeno provarci.
Una tale conversione della politica significherebbe una rivoluzione epocale. Che ne sarebbe allora del risentimento di molti popoli nei confronti dell’occidente qualora un presidente americano compisse simili atti di gratuità e compassione? In quel giorno cadrebbero altre torri, certo: quelle dell’odio, del sospetto opportunamente alimentato, della paura utilizzata come arma strategica. Così si può e si deve cambiare il mondo, non soltanto l’America.

Bye-bye George W.: tornatene al ranch di papà, in cameretta a giocare ai soldatini. Fortunatamente persino tu passi nella storia del tuo Paese e del mondo, come infine passa anche un’epidemia di peste bubbonica. Non ci mancherai.
E avanti Barack! L’America e il mondo hanno fame e sete di giustizia. Senza timore di dissacrare alcunché, vogliamo augurarti che possano fiorirti presto sulle labbra le parole stesse del profeta Isaia:

"Consolate, consolate il mio popolo,
parlate al cuore di Gerusalemme
e gridatele che la sua schiavitù è finita…

Apro una strada nel deserto,
immetto fiotti di acqua nella desolazione.
Mi glorificano le bestie selvatiche
per l’acqua che do al deserto,
per i fiumi che sbocciano nella steppa
affinché il mio popolo non abbia più sete".
(Is 40,1-2; 43,19-20).

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