
Incontrando la scorsa settimana suor Claudia Biondi, che per conto della Caritas ambrosiana lavora da anni con la comunità Rom di via Novara a Milano, veniamo a sapere che l’amministrazione comunale di una cittadina dell’hinterland milanese ha deciso qualche mese fa lo sgombero di un campo posto in territorio comunale, nel quale vivevano da anni una sessantina di persone in tutto. Non un campo irregolare, piuttosto uno di quelli per i quali nel tempo erano stati pensati e messi in atto progetti di integrazione che si avvalevano della collaborazione della Caritas.
Dopo una campagna elettorale fondata sulla cosiddetta sicurezza, all'interno della quale stava in primo piano lo spauracchio rom, il campo, senza nessuna considerazione del paziente lavoro di intermediazione culturale sin lì effettuato, venne evacuato e raso al suolo con le ruspe subito dopo le elezioni. Che dire? Ci sarebbero stati gli estremi per citare in giudizio l’amministrazione stessa, per via delle modalità brutali con le quali l’operazione era stata eseguita. La Caritas decise tuttavia di non fare nulla per non spaccare in due la locale comunità cristiana, già profondamente interrogata e provata dalla vicenda.
Veniamo fra l'altro a sapere che cattolicissimo Sindaco della ridente località padana, praticantissimo per educazione e convincimento, suole andare tutti i giorni a messa. Il prevosto e noi con lui ne siamo lieti, ma un dubbio ci sorge spontaneo.
Che il primo cittadino sieda sui primi banchi della parrocchiale tutte le sante mattine e poi sottoscriva lo sfascio di povere case e cose non è un problema soltanto per i Rom ma anche per una comunità cristiana locale che voglia considerarsi matura. A meno che non si ritenga lecito che ognuno modelli la propria fede personale a seconda del gusto e che il partecipare alla mensa eucaristica non vada oltre un intimismo assolutamente privato, l’atteggiamento del Signor Sindaco dovrebbe costituire problema alla coscienza dei cristiani.
Giusto ieri l'altro celebravamo la festa di Cristo Re. Fra le letture che la liturgia presentava, la ben nota pagina evangelica con il monumentale affresco del giudizio delle genti. Che verrà emesso non già sulla base del numero delle presenze a messa prima, quanto sulla capacità di allargare il cuore al bisogno dei più poveri: su questo si fonda il giudizio di Dio o almeno questo il vangelo suggerisce di credere.
Come fa dunque un cristiano a firmare il decreto di sgombero di un povero campo di povera gente e poi correre ad ascoltare quella stessa parola di Gesù senza battere ciglio? Delle due l'una: o non ritiene di dover prendere sul serio il suo Maestro quando afferma incontestabilmente di volersi identificare con chi ha fame e sete, con chi è oppresso, carcerato, straniero, malato ecc. Oppure il cuore vacilla e non potrebbe essere altrimenti.
In tal caso vien da comprendere come mai il poveretto se ne stia inchiodato all'inginocchiatoio durante la consacrazione, la faccia sprofondata fra le mani. La pia postura questa volta non è frutto di una puntigliosa osservanza delle sacre norme apprese al catechismo di prima comunione. È piuttosto che le ginocchia tremano.
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