martedì 28 ottobre 2008

Ipnosi

“Trovare rifugio” è il titolo di un libro di Cristopher Jamison, monaco benedettino inglese piuttosto popolare in Inghilterra a causa di un reality televisivo incentrato sulla vita di cinque uomini che per qualche settimana decidono di vivere fra le mura di un monastero. A pagina 55 del libro in questione leggo che secondo l’Autore “la tradizione monastica incoraggia l’uso della Bibbia…”. Mi sorgono domande.
Come mai dunque l’ignoranza biblica fra i cristiani? Se il monachesimo, che è un’antichissima forma di vita nella storia della chiesa, “incoraggia l’uso della Bibbia”, come si è potuti arrivare nel corso dei secoli ad una così perfetta non conoscenza delle scritture con le conseguenze che oggi sono sotto gli occhi di tutti?
E forse i richiami alla centralità della Parola, lanciati da qualche tempo ad opera di un magistero più illuminato, non è l’atteggiamento di chi vuole correre ai ripari e chiudere la porta della stalla quando i buoi sono già fuggiti da un pezzo?
Per quale motivo mia nonna, una povera contadina nata nel 1905, non ha potuto in vita sua prendere in mano la Bibbia pur essendo cattolicissima e praticante? Perché nella miseria economica e culturale che ha afflitto per decenni la storia del Novecento italiano non si è voluto fare entrare un Parola capace di far rialzare la testa ai più poveri? Ai quali – occorrerà ricordalo – primariamente viene rivolto l’annuncio.
Intere generazioni di persone sono vissute in una sorta di anoressia biblica che ha relegato la buona novella gesuana in un angolino rappresentato dalla predicazione domenicale. Ascoltando il vangelo in un lingua sconosciuta, nella totale impossibilità di impossessarsi del testo e di approfondirlo in un rapporto immediato e liberante con esso, le nostre madri e i nostri padri sono stati tenuti spiritualmente alla fame per generazioni.
E oggi, fra il tragico e il grottesco, da più parti, anche politiche, si elevano alti quanto strumentali i proclami inneggianti ad una improbabile unità culturale dell’occidente cosiddetto cristiano. E si vorrebbero le persone consapevoli della propria identità di appartenere a Cristo. In realtà, in un tempo di stravolgimento politico ed economico, morte le tanto stigmatizzate ideologie di ispirazione marxista, e mentre assistiamo impotenti al crollo del sistema capitalistico e alla penosa agonia del mercato liberista, si tenta di scavare qualche fosso contro la paura dell’arrivo di popolazioni culturalmente differenti, invocando – con code di paglia che svolazzano ovunque – il ritorno ai “forti” “valori” della “tradizione”.
Naturalmente nessuno sa di quale tradizione si tratti. Laddove infatti per essa si intenda la tradizione della chiesa cattolica, quanti fra i suoi fans dell’ultima ora hanno ben chiaro che a monte di questa stessa tradizione, in una maniera fondamentale, vi è la scrittura biblica? Che vi sono in posizioni autorevolissime figure come i profeti veterotestamentari, coloro che innumerevoli volte alzano la voce contro il sopruso nei confronti dei più deboli e parlano apertamente di un Dio che si schiera al loro fianco? E che dire di Gesù di Nazaret che a tal punto si identifica con le categorie minime del suo tempo da avere in sorte la pena che normalmente veniva riservata ai peggiori fra gli esclusi?
Come si fa dunque a conciliare il richiamo a qualche cosa che sia anche lontanamente cristiano con il linguaggio (già solo quello) violentissimo nei confronti di immigrati, nomadi, poveri? Come pretendere un ritorno ai presunti valori della chiesa cattolica quando l'intero vocabolario delle beatitudini scompare in certi proclami e - per considerare le opere di carità - nelle nostre città la semplice questua diventa reato e cercare qualche cosa nel cassonetto della spazzatura per sopravvivere è considerato un crimine?
L’ignoranza delle scritture ha ingenerato questo stato di confusione. Confuso è innanzi tutto, lo abbiamo detto, il linguaggio, fatto di slogan più che di senso. Oggi ci sono singole parole ed espressioni che vengono proferite ad ogni piè sospinto come dei mantra: “sicurezza”, “clandestino”, “arrivare alla fine del mese”, ecc. Cantilene, che alla lunga ipnotizzano e asserviscono al pensiero dominante. Anche in ambito ecclesiale ve ne sono di abusate; qualcuno le lancia ed altri le utilizzano in ogni occasione opportuna e non opportuna: mi viene in mente il ratzingeriano “relativismo” che ha risuonato ovunque con successo per un certo tempo; oppure i cosiddetti “valori non negoziabili” fra i quali si sottintende ormai il rispetto della vita intrauterina, la difesa ad oltranza di quella morente, il patrocinio della famiglia fondata sul matrimonio. Tutte cose sacrosante, per carità. Ma – viene da chiedersi – il rispetto della vita può non tenere conto, per esempio, delle condizioni economiche subumane nelle quali l'occidente – quello stesso che non è disposto a negoziare i propri valori – mantiene la grande maggioranza dell’umanità? Oggi si stima che circa 950 milioni di persone soffrano gravemente la fame: a fronte di questo, fa parte dei valori non negoziabili la denuncia aperta dell’utilizzo di enormi quantità di denaro per il mantenimento delle strutture militari, per la ricerca e per l’acquisto di mezzi sempre più affinati nella loro capacità di portare morte e distruzione? O forse la vita di un feto europeo o statunitense è più vita di quella di un bambino di Bassora deceduto sotto un bombardamento americano? O di un bimbo che muore di stenti in un campo di raccolta nel Darfur o di abbandono per le strade di Kinshasa?
Identità cristiana… Ma, signori, la Bibbia parla a questa maniera: “Guai a voi, che aggiungete casa a casa e unite campo a campo, finché non vi sia più spazio e così restate soli ad abitare nel paese” (Is 5,8-9). “Guai a coloro che fanno decreti iniqui e scrivono in fretta sentenze oppressive per negare la giustizia ai miseri e per frodare del diritto i poveri del mio popolo, per fare delle vedove la loro preda e per spogliare gli orfani…” (Is 10,1-2). Questo è il tenore del discorso. Ho l’impressione che, sapendolo, in molti saremo tentati di lasciar perdere con le radici, l’identità e tutto il resto. A meno che con esse non si intenda qualcosa che con il cuore della religione ha nulla da spartire.




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