domenica 27 maggio 2007

Vola alto, vecchia canonica!







Ecco, faccio una cosa nuova:
proprio ora germoglia,
non ve ne accorgete?

Isaia 43,19




La vecchia canonica si sta rialzando dalla polvere proprio quando ormai l’avevamo data per persa. Qualcuno auspicava - un po’ sommariamente per la verità - che se ne facesse un bel parcheggio: ci sarebbe dispiaciuto, per quella inguaribile nostalgia che ci portiamo dentro, un dolore che in qualche modo tutto torni a essere: persone, cose, giorni.
Da bambino vi abitavo proprio di fronte, di là della strada. Nei pomeriggi estivi passati a giocare a macchinine con mio fratello, dal balconcino di casa vedevo gente andare e venire attraverso il portoncino a volta. Il don Luigi uscirne, nella sua insostituibile sottana corvina, la "bianchi" nera da donna e quella pedalata lenta e cadenzata, per via di una gamba poco collaborante. Incontrandolo per strada, il vecchio parroco, avevamo appreso a salutarlo con un "Sia lodato Gesù Cristo", al quale egli rispondeva con il compiacimento di un largo sorriso: "Sempre sia lodato".
Possiedo innanzitutto una memoria olfattiva dello studio parrocchiale, in canonica. Di muschio, d’umido. Di tempo lentissimo per cose in attesa. Una stanza nella costante penombra, una matita mezza mangiata, una sedia di legno per gli ospiti, a esprimere quasi la familiarità d'un confessionale. La mansuetudine d'un tavolaccio ereditato chissà dove, ingombro di carte da non credere che in tutto quel disordine ci si potesse orientare.
Fu l’autunno del ‘69: dalle finestre di casa vidi per la prima volta un giovane prete uscire dalla canonica in compagnia del parroco. Veniva da novello sacerdote a prendere visione della sua prima parrocchia di destinazione, come assistente d’oratorio. La sua fisionomia, non semplicemente fisica, mi sarebbe col tempo divenuta cara e familiare.
Fino a che si levò il vento turbolento del 1975: in canonica le porte sbattevano. Tra il curato e il coadiutore non correva più buon sangue. La lista democristiana aveva perso le elezioni comunali, e l’oratorio fu indiziato di simpatizzare per esponenti della sinistra locale. Il giovane prete pagò il conto di quel sospetto e venne sollevato dall’incarico proprio mentre noi adolescenti eravamo al campeggio estivo, ignari delle guareschiane rivalità politiche, le orecchie alzate, il cuore in tumulto. La gente provò a protestare, a scrivere, invano.
Se ne andò da Mezzago un sabato di settembre. Iniziato da pochi giorni il ginnasio, andai a salutarlo con un groppo in gola che si sciolse in lacrime mute sulla via di casa. L’oratorio si svuotò. "Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse".
Sempre più stanco, il canuto curato si isolò. Morta da qualche anno la vecchia madre, andò ad occupare con l’anziano fratello le stanze riscaldate lasciate libere in oratorio. Il portoncino della canonica si chiuse in una tristezza invernale.

All'odierna sua inattesa primavera, che a distanza di trent’anni sta per fiorire, m'è venuta la voglia urgente di dare il benvenuto.
E benvenuta l’associazione "Mondo di comunità e famiglia", che conoscemmo una sera di qualche anno fa, soprattutto grazie all'intervento di Bruno Volpi, che personalmente ricordo come corroborante. Dopo averlo sentito parlare pensai: qui parla il vangelo. E se nella chiesa, anche oggi come in passato, il popolo di Dio avesse l'autorità di eleggere qualcuno per acclamazione, credo che a chi quella sera proferì parole così evangelicamente autorevoli e convincenti, debba essere riconosciuta la dignità episcopale. Lo credo davvero.
Così come penso che alle famiglie che fanno capo a questa associazione si debba riconoscere una non comune forza interiore nel credere profondamente in un progetto e nel lottare fermamente per metterlo in atto. Ma di più - lo dico modestamente, per quel poco che ne capisco - mi pare che si possano ravvisare i segni di una vera e propria vocazione, orientata a una sorta di ministero della solidarietà, della vicinanza, della compagnia, della compassione. La canonica cadente, invece di diventare spianata per pneumatici in sosta, rinasce inaspettatamente come "condominio solidale", dove la gente si saluta, si aiuta, si sostiene. Si dice che i miracoli avvengano ancora: come non gioirne?
Anni fa da Mezzago partirono definitivamente le ultime suore del Cottolengo. Io credo - assieme a chi ci crede - che la medesima Provvidenza, così cara alla tradizione spirituale di quelle religiose venerate in paese per quasi un secolo, abbia trovato il modo di farci un bel regalo: quello della rinnovata testimonianza che persino oggi è possibile vivere il vangelo di Gesù. Che è lecito prenderne sul serio la raccomandazione alla condivisione, all’apertura del cuore e delle porte di casa, sine glossa.
Gente strana che siamo: ci estasiamo allorché in una bella messa domenicale ascoltiamo narrare delle prime comunità cristiane che, stando agli Atti degli apostoli, vivevano la comunione dei cuori e la condivisione dei beni più pienamente di quanto non succeda normalmente oggi giorno. Quando poi questa Parola pare che diventi carne, esperienza concreta, progetto comune, allora ci insospettiamo, prendiamo le distanze, solleviamo questioni, fra mugugni, illazioni e sussurri all'orecchio.

Tant’è. Quel portone ormai chiuso da anni, torna ad aprirsi. Facciamo che con esso anche i cuori si dischiudano, e non siamo di quelli per i quali nel vangelo si dice: Abbiamo suonato il flauto e non avete ballato. Abbiamo cantato un lamento e non avete pianto. Qualche cosa di nuovo sta irrevocabilmente spuntando, che ce ne accorgiamo oppure no. Una realtà di vita cristiana che farà senz'altro del bene a questo popolo.
E se ai "nativi" tocca di aprire il cuore (e forse anche un po' il portafogli), alle persone che hanno pensato di venire a vivere in mezzo a noi mi permetto di chiedere d'essere fedeli non innanzitutto al loro personale o comunitario progetto, per quanto lodevole e prezioso; ma alla semplice umanità e alla unicità racchiusa nel cuore di ciascuno dei fratelli che la vita porrà sul loro cammino: a questo tengano principalmente, come alla presenza storica del Cristo che si lascia ancora incontrare.
In una società disgregata per tanti motivi, sono contento che mio figlio cresca in un pezzo di terra dove viene gettato questo seme di prossimità. Sono contento per lui e per tutti i nostri figli, perché anche da questa testimonianza concreta sapranno che il vangelo è per la vita del mondo. Oh sì, sono contento principalmente per loro che quel portone ritorni ad aprirsi.
Su di esso qualcuno, sin dall'inizio, ha voluto appendere un beneaugurate e significativo aquilone giallo.
E dunque vola, vola alto, vecchia canonica!
Con gli occhi e col cuore ti accompagniamo.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao Giorgio, ti rispondo così, perchè non sono capace di iscrivermi ecc...... non ne capisco niente!
Bello l'articolo che condivido. Vorrei aggiungere soltanto che, sì tutto ciò è segno di speranza per i ns. figli ma, già da ora, anche per noi, nella misura in cui ci lasceremo trascinare in questo progetto, indipendentemente dalle età, nei modi che lo Spirito ci suggerirà. Grazie Gigliola

Anonimo ha detto...

11 maggio 2014
La decisione di trasferirsi a Mezzago per seguire questo pazzo e bellissimo progetto passò anche attraverso questo articolo.
L'altro ieri abbiamo inaugurato la "nuova" vecchia canonica.
Un'operosa attesa durata sette anni, ma ora posso ringraziarti e dire: una parte di questo sogno si è realizzata. L'aquilone adesso c'è.
Ora invochiamo il vento, mani salde per tenere il filo e amici per gioire insieme.
Maurizio