venerdì 23 dicembre 2011

Un Natale arcobaleno
















Al Centro si festeggia il Natale. Un gran movimento di portate, tavole addobbate come nei ricevimenti ufficiali, la lista degli invitati sulla porta. Il pomeriggio previsto è canoro, la scaletta generosa: tutti vogliono partecipare, dando prova di abilità talora insospettate.
Aj. apre la kermesse: "A Natale puoi...". Ma lui non può. Sì, non può proprio fare a meno di ridere. Nelle prove per la verità era andata un po' meglio. Ora invece, di fronte a un uditorio attento, col microfono in mano Aj. nasconde la propria emozione dietro grasse risate.
C'è la "felicità" della Ma. che praticamente non canta, ma che fra mosse e mossettine non vorrebbe mai lasciare la scena. E la bella sorpresa di A. che con orientamento melodico di tutto rispetto ci spiega com’è che per fare un tavolo ci voglia un fiore.
C'è Fe., piegato su una carrozzina. Da profondità che posso solo immaginare cava toni cupi per dipingere la storia del gatto che si mangiò il topo comperato da un padre premuroso a una qualche fiera d’oriente. Ricorda tutte le parole, Fe., anche quelle che non può pronunciare con scioltezza. Così tra mezze frasi accennate ed altre taciute, ci rincorriamo per un po' lungo le strofe candide, mentre nella sala corre un filo di sensibile emozione.
C'è Mi. che canta un inedito, cercando caparbiamente di districare l'eloquio irretito. E un po’ ci riesce, facendo risuonare più pacato questo jingle che usiamo come saluto alla fine di ogni seduta. "Qui, qui, qui ci vediamo martedì...". Mentre lo accompagno, non oso pensare ad un uso migliore per ogni martedì che Dio manda ai miei giorni. E probabilmente la stessa cosa si potrebbe dire della mia povera musica.
E ancora la “musikabilità” naïf di Cla., che con disinvoltura intuisce il retroterra armonico di una linea melodica. Ovvero – qualità piuttosto rara anche fra i musicisti di professione – accompagna un canto ascoltato senza bisogno di accordi o partiture, che peraltro forse non saprebbe leggere.
E la bella estensione vocale di Da. che con disinvoltura va in cerca di seconde voci su un canto di cori alpini, dimostrando così una sensibilità musicale non comune.
E l’altro Da., quello col diminutivo, nei confronti del quale Euterpe par essere stata piuttosto avara. Lui che difficilmente becca una nota e di fronte a un microfono si intimidisce, ma che per entusiasmo e piacere di fare musica non teme confronti.
E Pa., che stacca dal pianoforte note cristalline solo per dire che il mondo potrebbe essere felice come un girotondo se la gente fosse disposta finalmente a darsi una mano. È così emozionato che sull’incipit del canto un fremito più intenso del capo gli fa cascare una lente. Povero Pa.! Mi resta lì, attonito, con un buco nella montatura dell’occhiale, il microfono in mano e il copricapo da babbo natale in testa. Ma è un attimo. Ora canta con la rabbia di un ostacolista, noncurante del fatto che persino la tecnologia abbia deciso di remargli contro.
E gli strazianti (in tutti i sensi) vocalizzi da operetta di La. Inseguendone la girandola canora mi sento un po’ come il maestro Pregadio, buonanima. Non so se avete presente: quello delle vecchie edizioni de La Corrida, quando cercava invano di far rientrare nel recinto del bel canto qualche improbabile concorrente. Sorrido di fronte a questa donna dirompente, dal carattere solare e dalla personalità che difficilmente potrebbe passare inosservata.
Quelli che han cantato, quelli che hanno contribuito soltanto con l’ascolto, un grido, un applauso scomposto. Ci stanno tutti in questo Natale colore dell’arcobaleno. Che si chiude con la tenerezza di An. a ricordarci che comunque siano, i migliori anni della nostra vita sono quelli fatti di giorni vissuti intensamente, umanamente. Un po’ come il giorno che ancora risuona e che sta per passare.

***

1 commento:

Paola ha detto...

...grazie Giò...