siamo un gruppo di appartenenti alla comunità cristiana XYZ in XXYY, a vario titolo presenti in parrocchia, ciascuno secondo le proprie sensibilità, capacità e carismi. Potrà leggere i nostri nomi nel documento allegato a questa lettera.
Un dispaccio in data 3 luglio 2010 firmato da mons. YZ, con toni da comunicato stampa, mette a conoscenza delle decisioni prese in merito alla Comunità pastorale e, al di là di qualche paternalistico passaggio, in nessun modo pare volersi curare davvero del sentire profondo delle persone che pure saranno interessate dagli effetti di quelle disposizioni.
Il pensiero dei fedeli e forse anche quello dei presbiteri coinvolti, le loro eventuali indicazioni, dubbi o perplessità in proposito, secondo una prassi ecclesiale consolidata ma non per questo lodevole, neppure stavolta sono stati minimamente presi in considerazione. Tutto viene presentato come già deciso e i laici in particolare non devono far altro che prenderne atto, più o meno di buon grado, in un troppo ovvio gioco delle parti che li vede da sempre relegati, nelle cose serie che riguardano la vita della Chiesa, al subalterno ruolo di eterni infanti, senza possibilità alcuna di intervenire in quella che dovrebbe essere una autentica e sincera comunicazione fra cristiani adulti.
È d’altronde lo stesso genere di perplessità che riguarda le modalità mediante le quali il progetto della nuova Comunità pastorale ha preso corpo. Anche lì nessuna precauzionale richiesta di intervento rivolta alla gente o quanto meno ai Consigli pastorali. Tutto viene semplicemente notificato allorché gli aspetti fondamentali sono già stati ampiamente definiti. Nessuno, per esempio, ha ritenuto di dover domandare alle quattro parrocchie prescelte che cosa pensassero del fatto d’esser chiamate a camminare insieme, nonostante alcune, almeno dal punto di vista geografico e forse anche storico, risultino essere piuttosto distanti fra di loro.
Ed anche lo scambio incrociato fra i parroci di ZZYY e YYZZ era proprio così indispensabile? Quali i misteriosi “motivi pastorali” che lo esigevano e di cui naturalmente nel comunicato del 3 luglio non si fa menzione? Da parte nostra non siamo così convinti del fatto che l’aspetto relazionale, il semplice orizzonte quotidiano di volti e storie nel quale le persone sono immerse, possa essere troppo allegramente azzerato dalla tanto celebrata “disponibilità evangelica”. In nome della quale ancora troppe volte nella Chiesa si offre l’impressione di prediligere ciò che separa a ciò che riunisce, ciò che mortifica a ciò che allieta.
In forza di essa, osiamo auspicare una Chiesa che, persino al proprio interno, provi davvero a percorrere strade di genuina convivialità nella maniera di prendere e mettere in atto decisioni. Nessuna forma d’essere ecclesia, antica o nuova che sia, potrà prescindere da una vera comunione fraterna e sororale, che fondamentalmente si traduce nell’ascolto sincero delle ragioni e del sentire dell’altro.
Accanto alla citata “disponibilità evangelica”, anche questo – ci pare – vorrebbe poter essere il “forte esempio di fede” (e di carità) per il quale tutti dovremmo “ringraziare di vero cuore”.
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