venerdì 15 gennaio 2010

Aiutiamo i bambini di Haiti




















Di Haiti sappiamo che si tratta di uno dei Paesi più miseri al mondo e, in genere, nulla più. Ma le proporzioni di tale miseria soltanto la testimonianza diretta è in grado di raccontarcele.
Di seguito un articolo da "Mondo e Missione" del 2008, che racconta la vicenda di p.
Richard Frechette, un missionario medico impegnato da molti anni con l'organizzazione NPH (Nuestros Pequeños Hermanos) che in italiano sta per: "I nostri piccoli fratelli") operante a favore dei bambini abbandonati dell'Isola.
Del 2006 l'inaugurazione di un ospedale pediatrico, il più grande dei Caraibi, grazie a NPH. Dell'altro giorno la sua distruzione anche se, fortunatamente, parziale, con tutti i suoi piccoli ospiti messi in salvo.
Inutile dire che servono aiuti. In fondo all'articolo di "Mondo e Missione", l'appello di NPH Italia.
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26/03/2008
Haiti / La missione di un prete americano ll'obitorio di Port-au
Nella città dei morti
di Mimmo Lombezzi
Fisico da marine e viso d'angelo,padre Rick raccoglie i corpi delle vittime di miseria e violenza.E li strappa all'ultima umiliazione:la fossa comune

La pietà ad Haiti ha un odore, un odore che fa vomitare. La pietà ad Haiti ha un peso, il peso insopportabile della carne morta. La pietà ad Haiti è fatta di cartapesta, di bare leggere come il carnevale. La pietà ad Haiti ha un tempio: un quadrilatero di cemento vietato alle telecamere e sconsigliato agli stomaci deboli, che sorge a pochi passi dal palazzo del governo: la Morgue, l’obitorio di Port-au-Prince.
È qui che si ammassano i relitti della miseria e della violenza quotidiana del Paese più povero del mondo: donne scannate dai mariti, vecchi travolti dal traffico, uomini eliminati nei regolamenti di conti fra gang. E bambini, molti bambini, le prime vittime della giungla d’asfalto di Citè Soleil, di Warf Géremie, del Marchè au Fer e di dozzine di slums che intorno a Port-au-Prince aprono altrettanti gironi di paura e di miseria.
L’ultimo bambino che ho visto emergeva come una bambola rotta da un bidone di ferro, circondato da centinaia di corpi abbandonati per terra o scaraventati su scaffali arrugginiti, sotto la luce spettrale dei generatori. È in questo luogo che ogni giovedì mattina Rick Frechette, un prete americano con un fisico da marine e una lunga faccia da angelo medievale, si rimbocca le maniche, indossa un paio di guanti di plastica, fuma una cicca e si tuffa tra i cadaveri urlanti della città perduta.
Cinque o sei volontari, metà bianchi, metà creoli, lo seguono all’inferno, portando bare di cartapesta che a poco a poco si riempiono di corpi. Li rubano all’ultima umiliazione, all’ultima violenza riservata ai morti abbandonati di Port-au-Prince: essere raccolti da un bulldozer e scaraventati in una fossa assediata dai maiali in un posto brullo come Golgota, chiamato in creolo, «Meno di nulla».

Raccogliere cadaveri e comporli è un lavoro lento e penoso, contrastato dalle mosche e soffocato dall’odore instancabile della morte. Qualcuno esce, vomita e poi rientra. Qualcuno prega. Qualcuno fuma. Qualcuno piange.
Mentre i raggi del sole accarezzano le bare già chiuse che si accatastano su due furgoni, nel cortile dell’ospedale entra di corsa un uomo che spinge una carriola. Porta una donna vestita con un abito leggero, le braccia aperte e la testa rovesciata all’indietro. Appena la vedo penso che sia svenuta e che la stiano portando al pronto soccorso, ma l’uomo non si ferma e imbocca come un forsennato la rampa della Morgue. Le sigarette dei volontari cadono dalle bocche spalancate, i gesti si fermano. La morte, repentina, violenta, oscena, irrompe nel cortile dove si tentava di darle un senso, di restituirle un briciolo di dignità.
Si crepa così ad Haiti, per la strada, raccolti come animali dal primo che passa, oppure abbandonati a dozzine, a centinaia, nelle fogne a cielo aperto delle bidonville.
Si crepa per i motivi più diversi: le auto e i camion che sfondano il buio assoluto di strade senza lampioni, le malattie che fermentano nel fango delle bidonville, oppure la malavita che impone il coprifuoco dalle cinque del pomeriggio.
Un anno fa le gang del porto hanno sequestrato 30 scolari. Per convincere i genitori a pagare il riscatto hanno cominciato a cavargli gli occhi. La bidonville è insorta. L’intervento in forze dei caschi blu e della polizia ha consegnato 20 capi delle gang alle galere di Stato e dozzine di loro sgherri ai cimiteri degli slums.
Quello di Citè Soleil è un luogo eloquente perché è l’unico recinto in muratura che domini il mare di tolla della baraccopoli. Il vociare dei bambini si arresta al cancello. Quando si spalanca, cinque enormi tombe di cemento zittiscono i monelli. Qui giacciono i tagliagole che non esitavano a torturare col fuoco persino le donne prese in ostaggio e che hanno fatto a pezzi in pubblico due giornalisti locali che avevano osato criticare i loro capi.
Su un muro sbilenco una scritta spray - Adieu Yoyo! - dà l’ultimo saluto a uno di loro. Non ci sono lapidi, ma tutti conoscono i nomi dei «soldati» sepolti, servi fedeli e crudeli di Petit couteau («Coltellino»), di Admiral («l’Ammiraglio») e di altri capi che per anni hanno importato dalla Colombia la cocaina e la ferocia senza limiti della mafia colombiana.
Anche oggi che la situazione è leggermente migliorata questo è l’unico Paese del mondo che non riesce a smaltire i propri morti. «Soltanto nell’agosto del 2007 - racconta padre Rick - sono morti 500 bambini. Molti finiscono qui perché le famiglie non hanno neppure i soldi per seppellirli o perché sono abbandonati. La povertà invece non li abbandona mai. Non li lascia neppure da morti per riservargli l’ultima umiliazione: la fossa comune».
È la seconda volta che filmo quest’uomo, mentre si unge il naso con un unguento che gli consente di sopportare il lezzo, mentre suda in maniche di camicia caricando le bare o mentre litiga in creolo agitando il pugno pieno di banconote sporche sotto il naso dei becchini cui ha strappato altre fosse per i suoi morti abbandonati.
Chiedo: «Ma lei non è mai stanco? Ogni giovedì si immerge in questo orrore. Va bene la carità cristiana, ma non le accade mai di dire basta, non ne posso più, non voglio più entrare qui dentro, voglio fermarmi?». Si mette a ridere poi risponde: «Sì, forse un giorno mi fermerò, quando sarò anch’io lì dentro!».
In un’altra incarnazione, in un altro film, Rick Frechette avrebbe potuto essere un paracadutista, un «uomo tranquillo», o «il nostro agente ad Haiti». Quando predica nella piccola chiesa dell’ospedale cha ha fondato per l’organizzazione Nph (Nuestros Pequeños Hermanos) alla periferia di Port-au-Prince, Père Richard ha la postura di un cultore di arti marziali, quando scarica bare ha l’energia di uno scaricatore di porto, quando se la prende con i suoi aiutanti, fa vibrare la baraccopoli da Warf Geremy a Citè Soleil.
In quartieri dove anche Gesù entrerebbe armato e in cui i caschi blu brasiliani girano col giubbotto antiproiettile e i fucili a pompa, padre Rick è l’unico yankee che si sia guadagnato il rispetto di tutti, a partire dai capi delle gang che sino a pochi mesi fa terrorizzavano il Paese.

Père Richard, che è medico, aveva curato i loro figli e questo gesto era il salvacondotto che gli permetteva di superare indenne i posti di blocco e di negoziare la liberazione degli ostaggi, che di solito, ad Haiti, finiscono tutti ammazzati. Una banda di sciammannati usciti da un film di Tarantino un giorno ha circondato la sua auto urlando e facendogli scattare i tamburi delle pistole a un centimetro dalle tempie.
Quando hanno saputo che il nuovo ostaggio era Père Richard, si sono gettati nella polvere chiedendogli di perdonarli e soprattutto di non denunciarli ai loro capi. L’errore, infatti, sarebbe stato punito col machete. Padre Rick li ha perdonati, ma una settimana dopo è andato a «riscuotere il credito» chiedendo la liberazione di un altro ostaggio. E ha ottenuto soddisfazione.
Ogni notte al reparto pediatrico dell’ospedale S. Damien, c’è qualche bambino che smette di soffrire. Muoiono soli perché le mamme li hanno abbandonati o perché sono tornate nelle bidonville ad accudire altri figli più piccoli. Alle sei del mattino padre Rick sale in una piccola stanza al primo piano dell’ospedale. Suor Marcella Catozzo (che scampò per un soffio alla mafia albanese nel ’97), è già lì che lo aspetta pregando. L’americano si trasforma. Tutta la sua forza sembra svanita. Pare addirittura più piccolo. Porta tra le braccia un piccolo corpo scuro che depone su un tavolino imbottito. Gli italiani presenti, come Maria Vittoria Rava, il braccio italiano di Nph, si uniscono alle preghiere per ingoiare le lacrime ma non sempre funziona.
L’americano stende il corpicino su un piccolo tavolo imbottito e lo unge pregando, poi lo benedice e lo avvolge in un sudario di plastica e di carta sigillato con un semplice giro di scotch. Lo accoglierà una piccola bara di cartapesta, una delle bare leggere e robuste prodotte dai ragazzi dell’orfanotrofio S. Etienne (un’altra iniziativa di Nph) che con questo tipo di artigianato si guadagnano un piccolo salario in un Paese dove, per migliaia di persone, persino un feretro è un lusso.
Nell’ultimo viaggio fatto ad Haiti ho filmato padre Rick nel bel mezzo di un rito woodoo. L’ho visto benedetto, abbracciato, completamente coinvolto dallo sciamano che lanciava invocazioni tracannando rhum, al centro di un pérystyle (un tempio) e di un disegno magico tracciato per terra e «danzato» a ritmo di tamburo sino a scomparire. Gli ho chiesto perché accettasse la «contaminazione» con tale rito e lui mi ha risposto: «Qui ad Haiti l’Aids è una vera piaga. Se i malati pensano di guarire con il woodoo vanno incontro a morte certa; se però lo sciamano non vieta loro di ricorrere alla mia medicina, io posso salvarli. Quindi ho bisogno della collaborazione del woodoo». In tempi di «crociate» e di «guerre sante» fra religioni che proclamano, ognuna, la propria superiorità, l’intelligenza pratica e diplomatica di padre Rick rappresenta un raggio di luce.
Il lavoro di padre Rick ha contagiato ormai diversi italiani. Esiste da qualche anno un filo emotivo tra Milano ed Haiti, una migrazione periodica che ha portato negli slum gente di tutti i tipi, dagli inviati di guerra come Roberto di Caro, alle modelle come Martina Colombari, dalle star della musica come Paola Turci, agli imprenditori come Gabriele Galateri.
Il Caronte di questi viaggi all’inferno è Maria Vittoria Rava, una mamma di due figli che padre Rick potrebbe sollevare con un solo braccio, ma che col prete condivide un gran cuore e una volontà di ferro. Li ha fatti incontrare la sventura. Quando sua sorella Francesca morì in un incidente stradale, Maria Vittoria aveva davanti a sé due strade: disperarsi o reagire. Ha scelto la seconda decidendo di mollare tutto, anche l’occupazione, e di proseguire il lavoro che Francesca aveva iniziato con Nph fondando la sezione italiana dell’associazione: la Fondazione Rava. Grazie a loro, con le telecamere di Videonews, abbiamo raccontato questa storia per «Mattino 5». Un buon esempio di come il dolore possa essere convertito in energia.


Padre Rick, maratoneta della solidarietà
Quella di padre Rick Frechette - sacerdote, chirurgo dell’ospedale pediatrico St. Damien, responsabile di Nph Haiti e... maratoneta - è la storia di una persona «fuori dagli schemi», di un medico in prima linea in un Paese del quarto mondo.
Ordinato sacerdote nel 1979 presso il monastero dei Passionisti a New York, padre Rick può essere definito, come Giovanni Paolo II, un «atleta di Dio» non solo per il fisico possente ma perché ha sempre partecipato alla Maratona di New York. Recatosi ad Haiti con Nph (Nuestros Pequeños Hermanos) - organizzazione che ha salvato in tutto il mondo più di 20 mila bambini abbandonati - Rick scopre una realtà sanitaria allo stremo e decide di attrezzarsi. Torna a New York, studia da chirurgo e si stabilisce definitivamente ad Haiti nel 1987, lavorando come prete e come medico, senza mai abbandonare la passione per la corsa. «Ogni anno, posso partecipare alla maratona nella Grande Mela - spiega lui - portando per le strade della città la voce dei miei bambini». Si allena percorrendo i 30 km che separano l’orfanotrofio di Kenskoff (a 1.700 metri di altitudine) dall’ospedale di Petionville nel centro di Port-au-Prince.
Ha scritto padre Rick: «Uno dei primi modi in cui la povertà di Haiti si è manifestata a noi, nel suo aspetto più drammatico è la moltitudine di bambini in fin di vita che sono stati abbandonati sulle porte del nostro orfanotrofio nel 1987, quando abbiamo aperto la prima clinica. Non avevamo i mezzi per salvare tutti quei moribondi e, infatti, la prima clinica che abbiamo aperto era per assistere i bambini in una morte dignitosa e non per offrire loro una speranza di vita». Ancora: «Presto risultò evidente che la maggior parte di quei bambini non sarebbe morta se solo ci fosse stato un posto dove curarli nel modo adeguato. Un posto così non esisteva in tutta l’area metropolitana, né per ricchi, né per poveri. Ecco perché il nostro ospedale è cresciuto negli anni, salvando un numero incalcolabile di vite nell’ultimo decennio. L’unica struttura ospedaliera che esiste a Port-au-Prince è stata costruita quando la popolazione era di circa 200 mila persone. Ora la popolazione nell’area metropolitana supera i due milioni! Oltre alle dimensioni inadeguate, anche le condizioni di questo ospedale sono fatiscenti e le cure insufficienti anche per chi ha i mezzi per pagare».


Una casa per 20 mila bimbi
Nel 1954, un ragazzo venne arrestato per aver rubato le offerte in una piccola chiesa di Cuernavaca, in Messico. Il giovane parroco, padre William Wasson (cfr M.M., agosto-settembre 2004, pp. 28-30), originario degli Stati Uniti, decise di non punire il piccolo “ladro” di cui, invece, richiese la custodia. Una settimana dopo, il giudice gli affidò anche altri otto bambini senza tetto. Alla fine dell’anno, il numero dei ragazzi ospitati dalla parrocchia era arrivato a trentadue. Nacque così Nuestros Pequeños Hermanos (Nph), una organizzazione che da allora ha fondato orfanotrofi in El Salvador, Honduras, Haiti, Nicaragua e Guatemala, ospitando oltre ventimila bimbi. In Italia, Nph è rappresentata dalla Fondazione Francesca Rava, nata il 1° giugno 2000 per dare seguito alla testimonianza di fede e amore che Francesca, alla cui memoria è intitolata, aveva lasciato con la sua breve ma intensa vita, e perpetuare la tenerezza con cui il suo sguardo amava rivolgersi ai più poveri e ai più piccoli. Ispirata ai valori della carità e del rispetto della dignità di ogni vita umana, la Fondazione vuole essere un punto di riferimento per quelle persone che desiderano mettere le proprie esperienze e competenze al servizio dell’infanzia abbandonata. Onlus giuridicamente riconosciuta, è una delle prime organizzazioni non profit a certificare volontariamente il proprio bilancio, al fine di garantire a donatori e sostenitori la massima trasparenza nella gestione dei fondi raccolti. (c.z.)



14 gennaio 2010

TERREMOTO IN HAITI

Appello urgente della Fondazione Francesca Rava – N.P.H. Italia Onlus che nella capitale Port au Prince ha numerosi progetti tra cui un ospedale pediatrico, un orfanotrofio e Scuole di strada nei quartieri più colpiti. Servono urgentemente aiuti.

La Fondazione Francesca Rava rappresenta in Italia N.P.H. organizzazione umanitaria internazionale presente in Haiti da 22 anni con numerosi progetti in aiuto all’infanzia, impegnata per portare soccorso alla popolazione di questo paese, vero inferno in terra colpito dal terremoto che ha causato migliaia di vittime.

L’ospedale pediatrico Saint Damien, l’unico dell’isola e il più grande dei Caraibi, assiste 25.000 bambini l’anno, inaugurato nel 2006, è gravemente danneggiato e i 150 bambini degenti sono stati evacuati, il suo pronto soccorso continua ad essere operativo e un importante centro di riferimento per i soccorsi, arrivano in continuazione centinaia di persone gravemente ferite in cerca di aiuti (vedi fotogallery qui sotto).

Il centro di accoglienza dei volontari N.P.H. è crollato e alcuni sono dispersi, tutti i volontari italiani sono però salvi.

I 600 bambini dell’orfanotrofio N.P.H e del Centro di riabilitazione “Casa dei piccoli Angeli”, unico sull’isola, sono salvi.

Non ci sono notizie delle condizioni delle 17 Scuole di strada che accolgono 5.000 bambini ogni giorno, che non erano comunque a scuola al momento del sisma.

Padre Rick Frechette sacerdote e medico in prima linea direttore N.P.H. Haiti sta coordinando i soccorsi con il suo staff edall’Italia è in volo per Haiti un gruppo di 7 medici volontari della Fondazione per portare immediato aiuto, accompagnati da un meccanico una guardia giurata e un panettiere.

Servono urgentemente fondi per sostenere i soccorsi medici d’emergenza, gli scavi delle macerie per salvare i dispersi, ricostruzione dell’ospedale.

Per donare
Fondazione Francesca Rava – N.P.H. Italia Onlus
Tel 0254122917

bollettino postale su C/C postale 17775230;
bonifico su c/c bancario BANCA MEDIOLANUM SpA,
Ag. 1 di Basiglio (MI) IT 39 G 03062 34210 000000760000
causale: terremoto Haiti.



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