lunedì 2 febbraio 2009

La mia terra? Io la difendo



"La mia terra la difendo".
È il titolo del blog di un giovane siciliano.
Questo giovane è morto ieri. Si chiama Giuseppe Gatì ed era nato ad Agrigento il 18 ottobre 1986, conosciuto forse da qualcuno per aver pubblicamente contestato Vittorio Sgarbi durante una conferenza ad Agrigento.
Sgarbi è il politico-ciarlatan-critico d’arte nonché abituale e volgare frequentatore di salotti televisivi, condannato anni or sono in via definitiva per truffa aggravata ai danni dello Stato. È uno che ha recentemente dichiarato che se “in Italia regna la corruzione, tanto vale approfittarne”. Forse in virtù di questo suo proclama è da poco divenuto sindaco di Salemi, un paese in provincia di Trapani. Che cosa c'azzecca Sgarbi con la carica di primo cittadino di un comune sicialiano nessuno lo capisce, ma tant'è.

Questo ragazzo ha avuto coraggio, coraggio da vendere, rarissimo ormai anche fra i suoi coetanei: il coraggio di dire pubblicamente quello che forse la gente presente nella biblioteca ad Agrigento il 28 dicembre non sapeva o fingeva di ignorare. E di inneggiare al giudice Caselli e al pool antimafia, diffamati dallo Sgarbi stesso, diffamazione per la quale il salottiero Vittorio è stato condannato in primo e secondo grado.
Giuseppe per il suo gesto di denuncia è stato maltrattato, zittito, insultato e trattenuto per ore in un locale della biblioteca medesima, dove sedicenti funzionari di polizia lo hanno intimidito e minacciato. Qui trovate il racconto di quelle ore, fatto da Giuseppe stesso.

In questa repubblica delle banane ormai nessuno si meraviglia più che ad essere fermati dalle cosiddette forze dell’ordine siano le persone pulite mentre i condannati dalla giustizia occupino responsabilità pubbliche e girino scortati in cerca di consensi e tornaconti economici.
Nessuno se ne meraviglia tranne Giuseppe e quelli come lui. Per questo ha voluto alzare la voce contro il (pre)potente di turno.

Aveva ventiquattro anni, Giuseppe. Di mestiere faceva il pastore. Aveva deciso di restare in Sicilia pensando che ad andarsene dovessero essere le persone che quella terra l’hanno martoriata e non la gente onesta che invece la ama profondamente.
È morto in un “incidente sul lavoro”: una scossa elettrica lo ha fulminato mentre apriva il rubinetto del refrigeratore del latte. La magistratura indagherà.

Nel video il suo intervento alla biblioteca di Agrigento.
È la testimonianza di un giovane siciliano che non si rassegna a vedere la propria terra e il proprio paese nelle mani di quanti vorrebbero farne sempre e comunque una questione di malaffare.
È un grido di sveglia anche per le nostre coscienze, così sovente appesantite da quella normalità-rassegnazione che permette a pochi di tenere in pugno il destino dei più.
È per tutti il monito a vivere la vita con uno sguardo aperto sulle strade che conducono al bene comune.
È la testimonianza di una coscienza civica che resiste alla pesante mortificazione cui viene sottoposta la democrazia in questo paese. Un paese dove la gente, anche quella che ha vent’anni, non sembra più avere voglia di lottare per qualche cosa che vada oltre la propria carriera e la personale sicurezza economica.
Quello di Giuseppe è il grido profetico di una umanità che nonostante tutto non si vuole rassegnare alla banalità del male, credendo che il bene sia una cosa molto più seria.

Il vangelo delle beatitudini chiama beati coloro che “hanno fame e sete della giustizia”, poiché saranno saziati. Anzi già lo sono: la loro stessa passione gli dona di vivere in pienezza i loro giorni, per quanto pochi essi possano essere.
Giuseppe che grida e non si lascia zittire, Giuseppe che sogna e spera di vedere un mondo più giusto, Giuseppe che ama la propria terra tanto da decidere di difenderla… credo che di diritto possa essere annoverato tra i felici di cui parla Gesù.

Qui sotto una breve intervista a Giuseppe Gatì.



Ciao Giuseppe. Grazie.

1 commento:

Eliolibre ha detto...

Ciao, Giorgio, ti ringrazio per aver scritto sul mio modestissimo blog, al contrario il tuo è superlativo. Non sapevo di questa disgrazia e ti sono grato per avermi dato la possibilità di esere informato su quanto avvenuto. Ho dato un'occhiata veoce al sito e l'ho trovato interessantissimo, ora sono di corsa, tornerò con più calma. Per ora complimenti per il lavoro che stai facendo.
Hasta luego.