domenica 4 gennaio 2009

Quanto è fonda la notte?


















Stasera sono passato al cimitero. Per la verità erano soltanto le cinque del pomeriggio, ma in questi giorni di inizio gennaio da noi è già sera. Se ci si mette la nebbia poi. Il freddo mostra i muscoli e sembra voler scoraggiare i pochi temerari che si avventurano da queste parti sul finire del giorno.
La ciotola di fiori invernali pare resistere, almeno per ora. La fontanella tace come una regina a lutto, vanamente circondata dalla variopinta corte di inutili innaffiatoi, abbandonati alla morsa del ghiaccio e alla notte che scende veloce.

Fronteggio questo freddo che taglia la punta del naso nei panni del figlio: sto di fronte alla tomba dei miei genitori. Una decina di metri più in là sono invece un padre e una madre a sostare in silenzio: hanno perso il loro ragazzo quindicenne nel mezzo dell'estate, quasi una metafora dell'esplosione di vita raggiunta da una gelata precoce. L'effige tombale lo ritrae in piedi, gracile e forte in mezzo a un campo di calcio, con i colori della formazione di appartenenza. La piccola lapide offre uno spazio troppo angusto alla fioritura di profumi e colori che la ricopre incessantemente da quei giorni di agosto.

Saluto i miei con pensieri affettuosi, piccoli gesti rituali, parole brevi.
Passando accanto a questi altri genitori silenziosi, penso ancora a quanto debba essere dolorosa la perdita improvvisa di un figlio. Quando d'un tratto svaniscono i luoghi quotidiani dell'incontro, l'abitudine scontata dei gesti, i pasti consumati insieme. Gli odori, i suoni, gli sguardi, tutto perduto nel nulla di un secondo fatale, mille e mille volte rivisitato con la mente, quasi a volerne deviare la destinazione.
La tomba diventa il perimetro di un dialogo affettuoso e misterioso. La tomba, così gelida stasera, si fa innaturalmente intima. A volte è un letto da riordinare, altre desco attorno al quale sedersi, in un gesto di riposo e abbandono che vorrebbe comunicare una ritrovata comunione, desiderio fisico di prendersi spazio e tempo, un tempo che si vorrebbe dilatare all'infinito.

Ma dalle tombe i vivi devono ogni volta prendere congedo, pur se da lasciare alla gelata notturna siano le membra preziose di un figlio. Focolari ben più reali reclamano di ardere altrove, e le tavole presso le quali mandare giù un boccone troppo amaro attendono d'essere comunque apparecchiate, per quanto mestamente soprattutto in questi giorni di festa.

Quanto è duro perdere un figlio?
Il pensiero corre a quel padre palestinese che in questi giorni di barbarie (l'ennesima, ferocissima) ha smarrito in un amen cinque figlie delle sue: la più grande aveva diciassette anni, la più piccola quattro. Tutte morte all'istante in seguito a un bombardamento aereo. Bisognerà che le vediamo queste piccole donne dormienti, perchè la guerra non è il videogame che vogliono farci credere i cosiddetti esperti di strategia bellica accomodati nei salotti dei telegiornali. Occorre che guardiamo dentro gli occhi di quel padre disperato, se vogliamo conservare una connessione con la vita reale, fuori per una volta dalle gabbiette mediatiche nelle quali - più o meno consenzienti - ci siamo lasciati rinchiudere.
Quanto è duro perdere cinque figlie in un giorno?

Cammino verso casa, e ormai è buio, senza poter neppure immaginare la profondità di una simile notte.



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