venerdì 28 marzo 2008

E l'Africa? Inviate un SMS!

In questi giorni di campagna elettorale non si sente parlare d'altro che di questioni economiche. Tutto il benessere del mondo pare passi attraverso il PIL. "Non metteremo mai le mani nelle tasche degli italiani"... Staremo a vedere.
Intanto, siamo proprio sicuri che sia questa la preoccupazione primaria? Lo dico con rispetto, l'Italia pare essere un paese pieno di gente che non ce la fa ad arrivare alla fine del mese. Per poi essere tutta lì il mese successivo a farsi intervistare fra i banchi del mercato e ripetere la medesima cosa.
In larghissima parte del globo terracqueo intanto, a milioni, fuor di metafora, non ce la fanno ad arrivare a sera. Genitori che vedono morire i propri figli per dissenteria, morbillo, polmonite, guerra, fame. Di tutto questo e di molto altro - innaturalmente - nemmeno una parola di questi tempi.
Verrò probabilmente tacciato subito di antipolitica (un'altra parola, fra le tante, che va molto di moda oggi giorno), ma della situazione disastrosa del cosiddetto sud del mondo, delle bibliche masse di impoveriti da un certo modo piratesco e secolare di intendere l'economia e la gestione delle risorse naturali del pianeta, non si trova traccia nei quotidiani siparietti televisivi di Berlusconi-Veltroni e cortigiani al seguito.
Piuttosto le tasse, le mani nelle tasche, il PIL (che la maggior parte della gente non sa nemmeno che cosa sia ma che è sulla bocca di tutti), il taglio dell'ICI sulla prima casa, la cordata italiana per salvare la compagnia aerea di bandiera, la diossina nella mozzarella di bufala (a proposito: pare che la laguna veneta sia da decenni una delle aree di mare più altamente inquinate da diossina al mondo ma nessuno mai ce lo ricorda. Che sia progresso anche questo?).

Le parole d'ordine sono uguali per tutti: "crescita", "sviluppo". Crescere: ma fin dove? e nel rispetto di quali norme etiche, economiche, ecologiche? Ma è davvero possibile pensare di continuare a crescere noi costringendo alla fame quelli che stanno fuori dalla porta? Se appartenessi ad una famiglia che adotti questo metro di giudizio come abituale stile di vita ne avrei orrore. Chi mai potrebbe seguitare a banchettare come se nulla fosse a fronte della miseria ingravescente che ci circonda? Ma essere cittadini significa davvero e soltanto difendere i propri privilegi? E poi - per dirla tutta - non è folle un sistema basato sull'accaparramento dei beni? Non è almeno ipotizzabile che alla fine imploda? Dove ne sarebbe allora il beneficio?
Eppure se parli di "de-crescita" per far posto a qualcun altro, o anche soltanto di "sobrietà" per permettere ad altri di ottenere il necessario a vivere, ti ridono dietro e nemmeno troppo velatamente. E così non c'è nessuno o quasi che osi adottare questo genere di vocabolario dai sacri pulpiti della propaganda di queste settimane. E dunque avanti: crescita, sviluppo, tasche piene cui nessuno attenterà! Cresciamo, cresciamo! Fino a scoppiarne, come la raganella di Fedro.

Nel generale silenzio su questo tema, vi offro da "Nigrizia" di marzo 2008, un sapiente editoriale che merita di essere fatto passare anche soltanto per il titolo.
Buona lettura.
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E l’Africa? Inviate un sms!


I temi legati al sud del mondo non entreranno nella campagna elettorale e gli italiani continueranno a credere che cittadinanza significhi difendere i propri privilegi.
Abbiamo fatto un brutto sogno. Anzi, proprio un incubo. I due faccioni di Berlusconi e Veltroni che ci guardano da tutti gli schermi tivù e da giganteschi manifesti elettorali. Con il sorriso stampato, ci dicono: «Ve lo diamo noi un futuro! Ve la tracciamo noi la via della modernità!». Silvio e Walter. Walter e Silvio. Una campagna elettorale parallela, distinta ma sovrapponibile per piglio e contenuti. Una campagna elettorale accartocciata sui problemi interni, senza un respiro e una visione internazionali. Il Cavaliere che invita l’Italia a rialzarsi, magari appoggiandosi sulla schiena degli immigrati. E l’ex sindaco di Roma che scandisce, all’americana, “noi possiamo arricchirci”.

A questo punto, ci svegliamo di soprassalto e ci chiediamo che cosa diavolo non abbiamo digerito per sviluppare un incubo del genere. Non abbiamo digerito l’incipit di questa marcia d’avvicinamento alle elezioni del 13 aprile. Nei discorsi programmatici e nelle ricette dell’uno e dell’altro schieramento l’Africa non c’è, il sud del mondo non c’è, i temi della povertà globale e della cooperazione allo sviluppo non ci sono, i nodi delle migrazioni nemmeno.
D’accordo, dal centrodestra c’è poco d’aspettarsi: deve lisciare il pelo alla Lega Nord e coniuga l’immigrazione solo con la sicurezza. Ci ha lasciato sul groppone la penosa legge Bossi-Fini, che non regola un bel niente, guarda con sospetto persino all’Europa; figurarsi se ha in testa le relazioni nord-sud del mondo.

Da Veltroni, invece, era lecito aspettarsi tutt’altra partenza. E non solo perché il candidato premier aveva in animo di andare a vivere in Africa e a quel continente ha anche dedicato qualche libro. Ma anche perché la viceministra alla cooperazione del governo Prodi, Patrizia Sentinelli, si è data da fare nel 2006-2007, e un minimo di continuità non avrebbe guastato (o il fatto che la Sentinelli sia di Rifondazione comunista la colloca in un passato da dimenticare?). Infine, perché al leader del Partito democratico piace ragionare di una cittadinanza moderna e aperta. Una cittadinanza che sarà anche delineata nei “12 punti per l’Italia”, ma che, tuttavia, ci pare troppo rassicurante, troppo “perbenino”, troppo intenta a guardarsi l’ombelico.

I candidati premier dei due maggiori schieramenti ci consentiranno un promemoria per il prosieguo della campagna.
Sarebbe il caso di dire agli italiani che il nostro paese ha sottoscritto nel 2000 l’impegno degli Obiettivi di sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite, da raggiunger entro il 2015. Si tratta di otto punti, che vincolano sia i paesi in via di sviluppo sia i paesi ricchi: sradicare fame e povertà estrema, raggiungere l’educazione primaria universale, promuovere la parità di genere, ridurre il tasso di mortalità infantile, migliorare la salute materna, contrastare l’Hiv/aids, la malaria e altre malattie, assicurare la sostenibilità ambientale, creare una partnership globale per lo sviluppo. Siamo a metà cammino e l’Italia si segnala per l’esiguità delle risorse dedicate all’aiuto pubblico allo sviluppo: dovevamo arrivare allo 0,33% del Pil nel 2006 e ci siamo fermati allo 0,20% (che scende a 0,11% al netto della cancellazione del debito estero nell’ambito del programma rivolto ai paesi poveri fortemente indebitati). E i dati del 2007 non si discostano di molto (0,21%).

Sarebbe ancora il caso di dire agli elettori se si vuole o no riformare una legge sulla cooperazione allo sviluppo, che risale al 1987, e, soprattutto, spiegare con chiarezza se cooperare è ancora un verbo adoperabile, oppure se è definitivamente tramontato ed è obbligatorio e moderno sostituirlo con scambi commerciali, investimenti, opportunità di mercato.

Sarebbe onesto dire, infine, che una delle leve che induce tanti africani ad abbandonare il loro paese per cercare altrove delle opportunità di lavoro ha un nome e cognome: sussidi europei all’agricoltura. In un regime realmente liberista, quale l’Europa non è mai stata, i consistenti sussidi che i nostri agricoltori ricevono dall’Unione europea si chiamerebbero “concorrenza sleale”, visto che concorrono a buttare fuori mercato non pochi prodotti africani.

Potremmo sbagliarci. Ma la sensazione è che questi temi non entreranno nella campagna elettorale e che molti cittadini italiani continueranno a credere che cittadinanza significhi difendere i propri privilegi. Punto e basta.

C’è il rischio che le questioni delle disuguaglianze e delle ingiustizie planetarie, alle quali non si nega mai una lacrima in tivù, siano ridotte a qualche esile slogan o al silenzio. Un silenzio rotto, di tanto in tanto, dall’invito a mandare un sms per questa o quella “crisi africana”. Insomma, un ritorno alla più piatta e qualunquistica beneficenza.

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