venerdì 11 gennaio 2008

Provvidenza

Rientro ora da un incontro con un gruppo di amici. Si parlava di famiglia, di accoglienza, di relazioni solidali. Si scoprono entusiasmi inattesi, occhi che brillano, cuori che fremono per qualche cosa di bello che pian piano sta prendendo forma.

Qualcuno, sul finire della serata, faceva riferimento alla provvidenza divina, alla tangibilità del suo misterioso ma concreto intervento.
M'è parso di cogliere qualche perplessità fra gli astanti.

Anche a me del resto è tornato in mente un grafico, nudo e crudo: i dati piuttosto recenti dell'OMS secondo i quali nel mondo, ogni anno, muoiono circa diecimilioni e seicentomila bambini al di sotto dei cinque anni. Per malnutrizione, condizioni igieniche precarie, incuria da parte degli adulti, abbandono. Un 37% muore in età neonatale, vale a dire entro i primi ventotto giorni di vita: molti di questi sono bambini prematuri che non possono ottenere le cure necessarie alla sopravvivenza (inutile dire che la maggior parte dei prematuri muore nei paesi del sud del mondo).

Se poi un neonato se la cava, in certe aree del pianeta rischia comunque di non arrivare a compiere cinque anni a motivo di una polmonite, per diarrea, morbillo, malaria, aids...

Pare che bastino pochi spiccioli per una dose di vaccino contro il morbillo o per gli antibiotici capaci di arrestare la diarrea o gli antimalarici.

Perchè la provvidenza non arriva anche lì, dove una mamma è costretta a dare acqua sporca per cena al suo piccolo?
Che cosa penserà quella mamma a sentir parlare di provvidenza?
Se Dio è provvidente, perchè non fa qualcosa?

O forse Dio è impotente di fronte alla durezza del cuore umano?

Lui "che ben conosce il patire", il Dio crocifisso, forse in questo provvidente: dalla sua mano non sfugge il gemito del più piccolo fra i suoi figli, fosse il più remoto e inascoltato. Non più le profondità inaccessibili dei cieli: Dio abita le lande di tutte le solitudini, la desolazione di tutti gli abbandoni. E' semplicemente lì dove c'è una sofferenza per prendersela sulle spalle come propria. Non semplicemente compartecipe, ma Egli stesso soggetto del dolore.

Dolente prima che provvidente. Compassionevole più che onnipotente.
E (onni)potente "solo d'amare" (D.M. Turoldo).

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