sabato 3 novembre 2007

Grazie, don Oreste

Sulle sue prese di posizione e sugli interventi pubblici si poteva forse disquisire. Ma sulla autenticità della sua testimonianza cristiana nessuno potrebbe nutrire riserve. L'affabilità e la semplicità con cui avvicinava le persone, specialmente le più svantaggiate, mi ha sempre profondamente commosso.
Riporto qui sotto alcune luminose righe di commento al brano di Giobbe (19,1.23-27), scritto da don Oreste per il giorno della commemorazione dei defunti, venerdì 2 novembre, giorno della sua stessa morte.
Grazie, don Oreste.
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Nel momento in cui chiuderò gli occhi a questa terra, la gente che sarà vicino dirà: è morto. In realtà è una bugia.Sono morto per chi mi vede, per chi sta lì. Le mie mani saranno fredde, il mio occhio non potrà più vedere, ma in realtà la morte non esiste perché appena chiudo gli occhi a questa terra mi apro all'infinito di Dio.Noi lo vedremo, come ci dice Paolo, faccia a faccia, così come Egli è (1Cor 13,12). E si attuerà quella parola che la Sapienza dice al capitolo 3: Dio ha creato l'uomo immortale, per l'immortalità, secondo la sua natura l'ha creato.Dentro di noi, quindi, c'è già l'immortalità, per cui la morte non è altro che lo sbocciare per sempre della mia identità, del mio essere con Dio. La morte è il momento dell'abbraccio col Padre, atteso intensamente nel cuore di ogni uomo, nel cuore di ogni creatura.

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