sabato 9 giugno 2007

Chi ne ha sentito parlare alzi la mano














Marina Spaccini è una cinquantanovenne pediatra triestina, sposata con Giorgio Pellis, anch'egli medico. Quattro figli e una vita dedicata all'Africa, con l'associazione "CUAMM Medici con l'Africa". Partiti la prima volta per il Kenya nel 1975, hanno da allora investito la loro umanità e la loro professionalità a favore della povera gente del luogo. Vi invito a leggere qui la loro semplice e preziosa testimonianza.

Marina Spaccini è una donna mite e forte, che ne ha viste di tutti i colori. Nel reparto di pediatria dell'ospedale rurale in cui lavorava con il marito, nella notte di pasqua del '76, morirono otto bambini a causa del morbillo. La sua memoria biblica le fece credere che in quella notte fosse passato l'angelo sterminatore.





"Ho aiutato da medico la gente africana stando in Africa. In Europa credo che si debba continuare ad aiutarla, lottando contro le cause della miseria e della malattia, che sono da ricercare in un'economia sfacciatamente impegnata a garantire i privilegi di una netta minoranza della popolazione mondiale". Questo il senso di quanto disse ad Enzo Biagi che la intervistava, non già a motivo del suo trentennale impegno per l'Africa, ma perchè il 18 aprile scorso - naturalmente nel totale silenzio di quasi tutti i media - il giudice istruttore Angela Latella della seconda sezione del tribunale civile di Genova, ha messo nero su bianco che al G8 di Genova, almeno il 20 luglio in piazza Manin, la polizia di Stato ha picchiato, senza motivo, persone inermi, come i pacifici militanti della "Rete Lilliput". E per questo ha condannato il ministero dell'Interno a pagare un risarcimento alla dottoressa, ferita da una manganellata alla testa e costretta a farsi medicare con diversi punti di sutura.

La notizia è apparsa unicamente sull'edizione ligure di "Repubblica", per mano del giornalista Massimo Calandri. Tutti gli altri hanno taciuto. Da Vespa a Santoro, acqua in bocca su una sentenza che è destinata a fare da apripista perchè finalmente sia resa giustizia a centinaia di persone che pacificamente manifestavano il loro dissenso e che subirono violenza da chi invece avrebbe dovuto garantire loro incolumità, in quelle ore di buio pesto per la democrazia del nostro Paese.
Di quel pomeriggio del 20 luglio, Marina Spaccini conserva un ricordo nitido. Unito ancora oggi all'incredulità per la violenza alla quale ha assistito e di cui è stata vittima. Un'immagine, soprattutto, è rimasta negli occhi e nel cuore di Marina Pellis Spaccini: quella dei due agenti, un uomo e una donna, che la colpirono.
Marina Spaccini racconta senza rancore, ma con grande determinazione. A Genova era venuta con la figlia e gli amici della rete Lilliput, una delle anime più pacifiche del movimento no-global. «Li ricordo. Li ricordo bene. L'uomo sembrava un animale in caccia, urlava, era ansimante, fradicio di sudore dentro quella sorta di scafandro-divisa, con il casco calato sul viso. Poco più in là, la ragazza-poliziotta, immobile di fronte a quel ragazzo pieno di sangue, sdraiato dentro una sorta di nicchia del muro».
In piazza Manin non c'erano violenti? «In piazza Manin e in via Assarotti c'era solo gente pacifica, con le mani alzate, che gridava "Basta! Basta!".
La mia, come quella di altri non è solo una battaglia di principio. E' una battaglia di civiltà: per la legalità e per la verità. Qualcuno deve ancora spiegare perché quei due ragazzi in divisa (e con loro molti altri) sono stati trasformati in quei giorni in esecutori di violenza. La mia non è vendetta. Cercare la verità vuol dire giustizia e fare assumere, a chi di dovere, le proprie responsabilità, anche politiche».

Qualche settimana fa, un Tribunale della Repubblica le ha dato ragione. Ma chi ne abbia sentito parlare alzi la mano.

1 commento:

Anonimo ha detto...
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